top of page

Hangover - Viaggio in Australia, atto II°

La sveglia suona, io bestemmio. Il cerchio alla testa mi massacra. La bocca non va troppo meglio: ho l'impressione di avere un calzino sporco al posto della lingua.

Fottute abitudini australiane. Quanti Bundaberg & Coke avrò bevuto ieri sera? Vediamo. Non dovrebbe essere difficile, nemmeno in queste condizioni: eravamo io, Andrew, Amos, Elise, Joy, Ben, Matty, Ling, Amanda, Jessica e Olivia. Undici persone. Ergo, undici bevute.

Tutto lo staff del BellaVista Italian Restaurant, più amici, in uscita al Civic Pub di Braddon, a Canberra. Ognuno ha offerto un giro.

Ho provato pure a rifiutare ad un certo punto, credo. Nessuno mi ha dato retta, e ad ogni nuovo round etilico mi trovavo di nuovo col bicchiere pieno in una mano e quello ancora da finire nell'altra. E, rispettando l'undicesimo comandamento (“Non sprecare l'alcool”), ho buttato giù tutto, condito da svariati shot dolcissimi e micidiali, sbucati da chissà dove.

Rifletto su tutto ciò, con la colonna sonora del drin-drin martellante in sottofondo e la testa che mi scoppia, incapace di ordinare al braccio un cazzotto sull'odiosa sveglia.

Con un grosso sforzo di volontà riesco a zittirla, domandandomi perchè stesse suonando. E' il mio giorno libero e non mi pare nemmeno di sentire Matt col suo infernale compressore, a spazzare le foglie dal giardino.

Cazzo, potevo dormire! Una volta che quell'esaltato del padrone di casa non si sveglia all'alba di domenica per curare quel fottuto prato.

Ah già, Matt è con Christine in viaggio di nozze nel Queensland, sono partiti in settimana.

Ottimo, sono solo. Un po' di pace.

E un Moment. Subito.

Sono qui, nella speranza che una qualche forza occulta s'impadronisca di me, dandomi l'energia di alzarmi dal materasso buttato sulla moquette, quando sento squillare il telefono. Andrew, leggo sullo schermo.

«Hey, mate! Sei pronto? Sto imboccando Campaspe Circuit, muoviti!»

«Che cazzo dici, Andy? Sono a letto...»

«Fuckin' hell! Pigro di un italiano ubriacone, ti sei scordato di Mount Ainslie?».

Lo sfocato ricordo di una chiacchierata da sbronzo mi saluta beffardo, nascosto dietro il muro appiccicoso dei postumi. Sono fregato.

«Nooo, macchè dimenticato... Ti prendevo in giro! Parcheggia e aspettami, ci metto un minuto».

Ri-bestemmio, mentre mi tiro su dal letto. Un preoccupante sommovimento interno mi catapulta verso il bagno. Svuoto lo stomaco in un getto marcio di rum e bile. Abbraccio un attimo il water riprendendo fiato, ma subito ritraggo le mani con uno scatto.

Da quando l'altra sera, in garage, quella che credevo essere una grossa macchia d'olio per motori ha iniziato a camminarmi incontro, rivelandosi poi un ragno di dimensioni macroscopiche, sono diventato un filino paranoico per quanto riguarda la presenza di aracnidi in casa. Matt ha cercato di tranquillizzarmi, dicendo di non preoccuparmi per quelli grandi ma per quelli piccoli, molto spesso letali.

La cosa, stranamente, non mi ha sollevato.

Mi butto addosso i primi vestiti che trovo ed esco di casa. Attraverso il giardino, barcollando. Esco dal cancello della villetta e mi trovo davanti il SUV di Andrew, che se ne sta al volante additandomi, sghignazzando come uno scemo. Cerco di darmi un tono, guardandomi attorno.

Campaspe Circuit è uno dei blocchi residenziali che costeggiano la Maribyrnong Avenue, nella zona di Kaleen. Villette a schiera tutte uguali costeggiano i vari circuits. Un lussuoso dormitorio per le migliaia di dipendenti governativi che popolano la città.

Entro in macchina, combattendo con le decine di lattine vuote che arredano i tappetini. Trattengo un altro conato, pensando al liquido che una volta le abitava. Andrew non manca di notare la cosa.

«Eheheh... Mate, non devi venirci, in Australia, se sei una fighetta astemia». E' fresco come una rosa. Come cazzo è possibile? Ha bevuto quanto me.

«Lascia fare, in Italia mi danno di alcoolizzato, ma qui siete di un'altra categoria...»

«Alcoolizzato? Ma se ieri, dopo il settimo Bundy & Coke non ti capivo nemmeno se parlavi italiano!»

«Voi siete pazzi... Piuttosto, ripetimi dov'è che stiamo andando»

«Mount Ainslie, il punto più panoramico di tutta Canberra. Un vero spettacolo»

«Ottimo. Mi manca, tra le esperienze di vita, la sboccata panoramica».

Andrew, amico nonché datore di lavoro, guida come un invasato, d'abitudine. Ogni curva mi cappotta lo stomaco in gola. Sono verde in faccia.

«Ora ti faccio vedere un gioco che facevamo quando avevamo la tua età, con Ben e Matty». Detto questo schiaccia il pedale e sterza a destra, avvicinandosi alle barriere del cavalcavia che stiamo attraversando. Si avvicina sempre di più. Sempre di più. Sempre di più. Lo specchietto ormai sfiora le sbarre metalliche.

«Checcazzo fai?!?» sbotto, mentre mi aggrappo alla maniglia laterale. Non dice niente, mantenendo un'aria concentrata.

SSSSBBRRRAAAAA! Lo specchietto è scomparso.

«Ahahahahah! Fuckin' Hell, se sono fuori allenamento!», sghignazza fregandosene della mia espressione basita.

«Che gioco era, se posso chiedere?»

«Iron Balls!»

«Nome evocativo... Che storia è?»

«Ha molte varianti, quello che conta è che l'altro deve cedere prima di te. Questa variante era la Carezza. Si guida a turno, e vince chi riesce a guidare per più tempo sfiorando il guard-rail»

«Chissà com'eran contenti i vostri carrozzieri...»

«Macchè, ora ho fatto una cazzata, ma quando lo facevamo eravamo più allenati. Non ne abbiamo spaccati poi così tanti... Comunque la più bella era la versione Rodeo: ti siedi sul finestrino aperto, incastri i piedi sotto al sedile e ti lasci andare all'indietro mentre la macchina va a tutta velocità»

«Voi non state bene...»

«Troppe pasticche, all''epoca. Ci facevano perdere un po' il contatto con i nostri limiti», ghigna con una scrollata di spalle.

Non si è nemmeno fermato, dopo aver abbandonato lo specchietto sul cavalcavia.

Saliamo il Mount Ainslie, nel cuore della riserva naturale Mount Majura. Raggiungiamo il lookout, a 800 e rotti metri sul livello del mare.

«Tieni, ho preparato un regalino per goderci meglio lo spettacolo», mi fa Andrew porgendomi un joint bello obeso.

«Easy, mate. So che fumate col tabacco». Mi stavo preoccupando, ancora non mi sono abituato alla loro cultura del purino. Mi arrivano delle stecche in testa allucinanti. Non sarei stato in grado di gestirla, nelle mie condizioni attuali.

«Grande. D'altra parte, conosci un altro modo per godersi un bel panorama?»

«No, e non ci tengo nemmeno a conoscerlo», ghigna lui.

Ci affacciamo alla balconata. Il primo impatto mi lascia senza fiato: tutta la città si estende sotto di noi, decorata dalle ampie chiazze verdi di vegetazione e da quelle blu dei laghi. La War Memorial Avenue si sviluppa in linea con il nostro punto d'osservazione, conducendo lo sguardo sulla Old e sulla New Parlament House.

Da questo punto, aspirando ampie boccate dal joint, riesco finalmente ad apprezzare davvero il design della città, sviluppatosi a “blocchi”: sembra di guardare una miriade di paesini avviluppati dalla vegetazione, collegati l'un l'altro da magre arterie asfaltate. L'incredibile vista si estende quasi a 360°, essendo il belvedere praticamente in cima alla montagna.

Rimaniamo li in silenzio a fumare, assorti nel senso di grandezza, di spazio. Sembra di volare da quanto siamo distanti dalla città. Una sensazione capace di accendere la fantasia, facendoti immaginare in picchiata verso quei quartieri così diversi da come appaiono all'altezza del suolo: Civic, Belconnen, Kaleen, Capital Hill, e giù sempre più a Sud, verso Woden.

«Aò, rigà! Se vede casa mia daqquà!». Vengo riportato sulla terra dagli schiamazzi di un gruppetto di romani. Puoi andare in capo al mondo, puoi scalare montagne, guadare fiumi, navigare mari. Non importa quanto tu vada lontano, un italiano lo troverai sempre. E, cristiddio, sarà sempre il più rumoroso ed incivile tra i presenti. Siamo in tanti, sul belvedere, e nessuno fino a quel momento aveva proferito una parola più forte di un sussurro, timorosi di turbare la grandiosa quiete di questo maestoso angolo panoramico.

«Compatrioti, Simo. Non vai a socializzare?», ghigna Andrew.

«Lascia perdere, vecchio... L'unica razza che veramente m'infastidisce, quando sono fuori dall'Italia, è proprio quella italiana...».

Getto un'ultima occhiata a Canberra dall'alto, finisco il joint ed intasco il filtrino, in uno strano eccesso di senso civico.

«Andiamo vecchio, mi è passata la poesia». Lui ridacchia, incamminandosi verso la macchina. Passiamo accanto al gruppetto di romani, che probabilmente hanno sentito qualche aroma strano, visto che uno mi fa: «Aò, capo. Che cell'hai da fumare?».

«Sorry, mate. I don't speak italian».

Simone Piccinni

THREE

FACES

RECENT POSTS:
SEARCH BY TAGS:
bottom of page