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Hotel New York - Emigrato in Olanda, Atto I


Ci sono così tante cose da dire, su Rotterdam, che semplicemente un post non può bastare. Ne servono almeno due per raccontare, in qualche modo, tutte queste storie. Storie di viaggio, di emozioni, di rinascite, di lungimiranza.

Rotterdam racconta principalmente storie di questo genere, ma ne racconta anche moltissime altre. C’è la storia di Pieter Kroes, contadino che il 18 ottobre del 1860 arrivò a Staten Island con la propria famiglia, e c’è quella di Ahmed Aboutaleb, il primo sindaco dei Paesi Bassi musulmano, praticante e figlio di immigrati.

E oggi vi racconto la storia dell’Hotel New York, una storia di viaggio e di emozioni.

Madre (NdR - Giuseppe lavora in una famiglia come ragazzo alla pari) ha portato me e Luca in questo hotel perché doveva incontrare un collega di lavoro, e con la scusa ci siamo presi un latte macchiato e ci ha parlato della storia di quell’albergo. Il suo racconto, unito ai miei compiti a casa, mi ha restituito un’immagine vivida di ciò che doveva rappresentare quell’albergo.

L’Hotel New York era l’ultimo baluardo prima dell’imbarco per l’estenuante viaggio della vita verso gli Stati Uniti: "at least 25,000 Zeelanders sailed into U.S. ports between 1835 and 1920" [Robert P. Swierenga].

Sito sul porto, l’albergo ospitava dunque gli ultimi istanti prima della partenza di tutte queste persone verso la terra delle speranze, delle opportunità, del futuro. Era una cosa tragica.

Tragica innanzitutto perché chi partiva non tornava: il viaggio durava settimane ed era semplicemente troppo costoso. I migranti non avrebbero mai più rivisto i loro cari. Non era inoltre raro che qualcuno morisse sulle navi, i neonati in particolare facevano fatica a sopportare questo viaggio.

Per questo è stato emozionante vedere l’albergo: in parte mi ritrovo in queste persone che non avevano, per i più svariati motivi, più nulla da chiedere alla loro terra e hanno dunque deciso di imbarcarsi nel viaggio della vita inseguendo le loro ambizioni e i loro sogni. Ho respirato la loro aria, tentando di assimilare quelle sensazioni.

Nel farlo, mi è venuta in mente una famosissima canzone degli Eagles: Hotel California. Poteva chiamarsi Hotel Massachussettes o Hotel Oregon, e invece è Hotel California.

La canzone, come aggiungerà Don Henley, “Is basically about the dark underbelly of the American dream and about excess in America, which is something we knew a lot about".

Non ci vado tanto lontano, se dico che questa canzone chiude una sorta di ciclo inaugurato con l’Hotel New York in un ideale coast to coast che inizia dalla punta orientale degli Stati Uniti con un carico di sogni e speranze, e termina nel punto più occidentale con il disincanto dell’oscura fragilità del sogno americano.

"Mirrors on the ceiling, The pink champagne on ice And she said "We are all just prisoners here, of our own device" And in the master's chambers, They gathered for the feast They stab it with their steely knives, But they just can't kill the beast Last thing I remember, I was Running for the door I had to find the passage back To the place I was before "Relax, " said the night man, "We are programmed to receive. You can check-out any time you like, But you can never leave!"

Questa strofa, più di altre, arriva dritta al punto. Si trova a fine pezzo e rappresenta il disincanto di chi, anche nella più lontana delle frontiere occidentali, non ha trovato l'oggetto della sua ricerca e finisce per arrendersi.

Vedere che fine ha fatto il sogno di Pieter e di tutti i migranti di quel periodo mi ha fatto riflettere molto su due cose: la prima è una sorta di speranza che, per lui e la sua famiglia le cose siano andate per il verso giusto (temo non avrò mai modo di scoprirlo, comunque), la seconda è che certe persone, come ebbe a dire una volta un certo O. W. Grant, “non sanno proprio cosa desiderare“.

E allora, per chiudere, vi lascio con il pensiero sulla California di uno dei protagonisti del film in cui O. W. Grant, interpretato da un magistrale Gary Oldman, la fa da padrone.

Il personaggio si chiama Bob Cody (interpretato da Chris Cooper), e parlando della frontiera disse: “(parlando di Frederick Turner) circa un centinaio di anni fa tirò fuori una teoria sulla frontiera, definendola una valvola di sicurezza per la civiltà, un posto dove si andava per evitare di impazzire. Ogni volta che qualcuno non riusciva a ritrovarsi nel proprio ambiente; scontenti, persone fuori di testa, estremisti, facevano le valigie e partivano per la frontiera. È così che è nata l’America. Gli eccentrici e i piantagrane d’Europa fecero fagotto e confluirono in una frontiera che successivamente divennero le tredici colonie. Quando qualcuno non si trovava più bene, si spostava verso ovest. Ecco perché tutti i matti, alla fine, si sono ritrovati in California”.

Giuseppe Enrico Battaglia

THREE

FACES

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