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Ancora in piedi - Trekking sulle Alpi

Cielo bianco, montagne pure.

Tutto intorno è candido, immacolato, incontaminato.

Guardo dietro di me la scia che abbiamo scavato con le ciaspole: i passi dell'andata e quelli del ritorno si incontrano sulla stessa pista, disegnando sulla neve una linea irregolare che si arrampica sul fianco della montagna, che si perde tra le rocce e gli alberi, che come un canale lascia fluire la corrente dei nostri pensieri verso valle.

Sono cinque ore che camminiamo e, adesso che siamo sulla strada del ritorno e l'entusiasmo della salita ha lasciato posto alla stanchezza della discesa, sento tutta la fatica della giornata appena trascorsa. Sono l'ultimo della fila, sto guardando i miei compagni percorrere a ritroso il sentiero che abbiamo imboccato stamattina per raggiungere la Rocca dell'Abisso, dalle parti di Limone, in Piemonte.

E' la prima volta che affronto la montagna armato di racchette da neve e bastoncini in carbonio: ho sempre pensato ai camminatori più esperti e meglio equipaggiati di me come a degli esaltati del trekking, dei feticisti del merchandising Decathlon. Dopo la giornata di oggi, mi sono dovuto ricredere. Grazie all'attrezzatura, ho avuto la possibilità di godermi questa esperienza in maniera più intensa e appagante, senza affondare fino al ginocchio nella neve a ogni passo, rischiando nel migliore dei casi di congelarmi a causa dei vestiti bagnati, nel peggiore di rompermi una gamba e dover farmi venire a prendere dal tanto temuto, quanto provvidenziale, elicottero del Soccorso Alpino.

Nonostante questo, ho le caviglie distrutte, letteralmente martoriate: strette nei lacci che assicurano i miei piedi alle ciaspole, urlano pietà a ogni passo, e ho come l'impressione che non resisteranno a lungo. Non vi dico poi, quando per errore cammino fuori dal sentiero, affondando nella neve fresca, sbilanciando il peso da un lato, infierendo sui miei poveri legamenti.

Le dita dei piedi mi sembra di non sentirle più, intorpidite come sono dal freddo che blocca la normale circolazione del sangue. Mi ricordo che sono ancora attaccate al loro posto solo perché la plastica dura delle racchette in cui sono costrette mi fa mugolare di dolore ogni volta che poso il piede a terra. Sono a pezzi, sto per cedere, mi ripeto mentalmente a mo' di mantra che ci siamo quasi, che devo insistere e resistere, che non manca poi molto per tornare al punto da cui siamo partiti. Il dolore presto si diffonde a tutti gli altri muscoli, stanchi anch'essi. Inevitabile arriva anche la domanda che mi accompagna ogni volta che mi sento al limite delle forze durante un trekking in montagna: “Ma chi me l'ha fatto fare?”. Mi guardo attorno estasiato e non è poi così difficile immaginare una risposta.

Sorrido e stringo i denti, continuo a scendere, rallento l'andatura per fare qualche foto. Poi riparto, seguendo con lo sguardo la fila indiana dei miei compagni d'avventura scendere verso valle. Il tempo sta cambiando velocemente, a monte le nubi si addensano e si fanno più scure, io sono rimasto leggermente indietro e cerco di affrettare il passo per raggiungere gli altri. La mia bocca è contratta in una smorfia di dolore, provo a resistere, ma a un tratto la gamba destra, sfinita, cede. Senza nemmeno tentare di evitarlo il mio corpo si lascia cadere e finisco di schiena per terra: l'atterraggio per fortuna è morbido, anche se bagnato, ma in questo momento l'unica cosa che mi interessa è recuperare le energie.

Cerco di riprendere fiato, mi sfilo i guanti che mi fasciano le mani per avere più sensibilità e libertà di movimento, frugando nei tasconi del giaccone alla ricerca di qualcosa da sgranocchiare. Trovo una bustina con della frutta secca, che mi svuoto letteralmente in bocca, cominciando a masticare avido. Da un'altra tasca vien fuori del cioccolato, tiro un sospiro di sollievo e già sento le energie tornare: beati zuccheri protettori dei camminatori improvvisati. Mentre addento anche la barretta di cacao al latte e riso soffiato guardo gli altri allontanarsi ancora, scomparendo uno ad uno dietro a una curva.

Decido di concedermi una breve pausa per recuperare le forze, mi dico che riuscirò a raggiungerli e, guardandomi intorno trovo segni di riferimento piuttosto chiari, capisco che non manca poi molto alla fine del sentiero. Recupero tabacco e cartine, rollo una sigaretta di pueblo, l'accendo e guardo di fronte a me la vastità bianca dei giganti di pietra che sorvegliano queste valli meravigliose. La stanchezza pian piano scivola via e, ora che son solo, mi sento come un tutt'uno con questa particolare universalità. I pensieri si fanno più profondi mentre gli occhi mi si riempiono di bellezza. Sento che tutta la fatica patita non è altro che il prezzo che ho dovuto pagare per avere il diritto di guardare il mondo dall'alto, il privilegio di giungere in luoghi a cui altrimenti non avrei avuto accesso. Mi torna in mente una frase letta in questi giorni in un vecchio libro, pensandoci sorrido, trovandola particolarmente azzeccata alla sensazione che sento mia in questo momento: “Senza sacrificio l'uomo non può ottenere nulla, per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos'altro che abbia il medesimo valore. In alchimia è chiamato il principio dello scambio equivalente.”

È stato esaltante risalire le cime innevate conca dopo conca, essere sferzati dal vento gelido che soffiava nell'aria tanti piccoli fiocchi di neve che, brillando al sole, andavano a depositarsi sul fianco della montagna, modellandosi in figure geometriche frattali, solo in apparenza casuali.

Senza questa piacevole stanchezza che profuma di soddisfazione non sarei così felice adesso. Mi sembra di cogliere parallelismi straordinari tra la montagna e la vita, indovino insegnamenti importanti solo respirando profondamente quest'aria fresca, solo bagnandomi le labbra di neve fredda e dissetante, solo essendo qui e adesso.

Nella vita è importante porsi un obiettivo, scegliere una direzione, lottare per riuscire ad arrivare alla destinazione che ci siamo prefissati. Una volta raggiunto un traguardo, ci si accorge subito di non essere ancora arrivati, la frustrazione si mescola all'ambizione e questo ci spinge ad arrivare ancora più in alto, sempre, continuamente insoddisfatti.

Nella montagna trovo tutto questo, trovo l'ispirazione necessaria ad affrontare le piccole sfide di ogni giorno, la forza per resistere ai venti contrari, alla salita, alla fatica.

Mi viene da pensare che se dev'esserci un dio da qualche parte, scorre assieme alle acque sorgive dei ghiacciai, dissetando goccia dopo goccia tutto il pianeta.

Intanto sul crinale di fronte a me un branco di camosci corre libero e selvaggio regalandomi l'impressione che un mondo diverso dal nostro esista e resista ai nostri inutili tentativi di controllo. Questo mi da la forza per rialzarmi e continuare a muovermi.

Ancora in piedi ricomincio a camminare, passo dopo passo. Un ultimo sguardo dietro di me, a salutare lo splendido paesaggio che è già diventato un frammento del mosaico di ricordi ed esperienze che compone la mia anima.

Sparisco anche io dietro alla curva che precedentemente ha ingoiato uno a uno i miei compagni. Loro son fermi poco più avanti, ad aspettarmi. Li raggiungo e mi scuso per l'attesa. Insieme ridiamo e parliamo, stanchi, ma felici. Raggiungiamo la fonte da cui abbiamo già bevuto all'andata. Mentre mi nutro di quest'acqua purissima mi sento rinascere. Penso a come quest'acqua sia resa magica, benedetta dal fatto di stare qui a contemplare, scorrendo, tutta la bellezza di questi territori incontaminati, la perfetta armonia degli esseri viventi che li abitano, il silenzioso meccanismo che giorno dopo giorno perpetua la vita. Mi sento parte del tutto, quasi mi dispiace andar via.

Trovo la risposta giusta per la mia domanda. È per questo che lo faccio: per sentirmi così come mi sento ora, per trovare la forza di rialzarmi. Ancora in piedi per continuare a camminare.

Andrea Federigi

THREE

FACES

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