top of page

Elementi - Viaggio in Australia, atto III°

Ri-eccoci ragazzi, siamo arrivati al capitolo conclusivo della mia avventura in Australia. Ho deciso di non seguire la consueta scansione temporale, ma di dare una panoramica in tre momenti distinti dei miei contatti con Sydney: uno appena arrivato, uno a metà viaggio ed uno alla fine, subito prima della partenza. Questo per cercare di illustrare un cambio di approccio cui sono giunto tramite questa bellissima esperienza.

Perché “come sempre suole accadere in un lungo viaggio, alle prime due o tre stazioni l'immaginazione resta ferma nel luogo di dove sei partito, e poi d'un tratto, col primo mattino incontrato per via, si volge verso la meta del viaggio e ormai costruisce là i castelli dell'avvenire”.

Acqua. 1 Maggio 2007 – Arrivo a Sydney.

Aspetto l'autobus che mi porterà in centro, contemplando il candido e morbido design dell'architettura antistante l'areoporto Kingford Smith. Tutto mi risulta nuovo e straordinariamente diverso: l'andamento ondulato dello skyline delle costruzioni, che rimanda all'impetuosità delle onde tanto amate dai surfisti australiani; anche le facce sorridenti e cordiali delle bariste della caffetteria in cui mi sono fiondato per combattere il jet-lag, mi hanno impressionato. Probabilmente sono io che, nella mia eccitazione, rifletto il mio stato sugli altri. “Ridi e il mondo riderà con te”. Sarà... In Italia posso sorridere quanto mi pare, ma nel 90 per cento dei casi la faccia che mi servirà il caffè avrà un “bevi in fretta e fuori dalle palle” ben visibile in sovraimpressione.

La gente mi sembra più rilassata e disponibile. Le ragazze sorridono ammiccanti, immerse in questa luce eterea ed autunnale. Ci sarà da divertirsi.

L'autobus arriva. Salgo a bordo e pago il biglietto. Mi siedo in un posto verso il fondo, dando seguito alle tradizioni da gita scolastica. Guardando dal finestrino cerco di immagazzinare più immagini possibili, ma la varietà morfologica della città mi da un senso di straneamento in cui non posso fare altro che godere dell'insieme, estasiato dal susseguirsi di particolari urbanistici eterogenei. Una città che ne contiene mille. Tutte diverse.

Non mi accorgo quasi del tragitto, perso come sono nella mia estasi e nel fuso. A dire il vero non ho nemmeno una meta precisa. Ho sempre odiato la programmazione, nei viaggi. Partire sapendo già dove alloggerò mi priva del senso di scoperta e d'imprevisto.

Di questo viaggio poi, ne so già troppo: la mia prossima tappa sarà Canberra, per far visita a degli amici di famiglia che gestiscono un ristorante nel quale forse lavorerò per il primo periodo. Il massimo della vita: mi ritroverò in Australia, in un fottuto ristorante italiano.

Ma torniamo all'Ora, al Qui. Finché avrò a disposizione un po' di sana incertezza, me la voglio godere...

So che questo bus porta verso Bondi Beach: Fatboy Slim ha suonato lì a Capodanno dell'anno scorso, registrandoci anche un live. Proprio fino a pochi minuti fa stavo ascoltando, emozionandomi, “Right Here, Right Now”. Inizierò da lì la mia avventura.

Il visore luminoso annuncia che siamo a Bondi North. Ci siamo.

Aria & Fuoco. 15 Giugno 2007 – Trasferta a Sydney.

Il primo mese e mezzo a Canberra è volato via. Mi sembra che il tempo abbia subìto un'accellerata. Ho stretto amicizie, ho vissuto la città. Un po' morta, forse, ma pur sempre bellissima.

Ho anche quasi mandato in fumo il matrimonio dei miei padroni di casa, novelli sposi decisamente male assortiti. Christine: tedesca, dall'efficienza, serietà e senso dell'umorismo tipicamente mittel-europeo. Matt: australiano, scafato, bassista, reggae&ganja lover. Due personalità agli antipodi, rette in un misterioso e quasi alchemico equilibrio.

Aveva smesso, il soggetto. Si era reinquadrato nel suo ruolo di grigio dipendente governativo: croce sopra ai bong e ai ritmi giamaicani, in nome dell'amore per la teutonica palinculo. Mi è bastato un pomeriggio per riportarlo sulla cattiva strada, essendo anche io bassista e devoto di San Bob Marley.

Un crescendo di liti, malumori, e scazzi culminato nella fuga da casa da parte della tedesca. Matt, d'altra parte, ha dimostrato una facilità al lasciarsi andare abbastanza preoccupante: lo incrocio sempre prima di andare a lavorare, già con due occhi imbarazzanti. Vive in simbiosi col bong e se ne frega di tutto e tutti.

Dopo qualche giorno Christine è tornata a casa, ma l'atmosfera è rimasta tutt'altro che distesa. Per fortuna entro una settimana partiranno in luna di miele, e finalmente potrò godermi un po' di quiete domestica.

Per dar loro modo di chiarire le cose in vista del viaggio, ho colto la palla al balzo e mi sono tolto dai piedi.

Ed eccomi qui, a cercare un party goa di cui ho letto, in Oxford Street a Sydney. Il locale, il Tropicana, dovrebbe essere al numero 95, ma inizio a preoccuparmi di aver annotato male l'indirizzo. E' la seconda volta che percorro tutta la strada, ma del fottuto 95 non c'è neanche l'ombra. Solo un'infinita sfilza di sexy-shop, contornata di ubriachi. Mi faccio su e giù la strada un'ultima volta, senza risultati. Chiedo ai passanti, ma senza esito: nessuno ha mai visto un locale chiamato Tropicana.

Mi fermo in un corner-shop d'indiani e chiedo lì, ma il piccolo gestore mi invita a continuare a cercare. Non troppo utile...

Non demordo ed entro nel negozio successivo a domandare. Finalmente, arriva l'illuminazione: potrebbe essere in un'altra Oxford Street! Il gestore mi mostra sulla mappa che ce ne sono ben tre. Io sono nei pressi di Hyde Park, mentre quella che cerco è, probabilmente, vicino al Centennial Park a Bondi Junction.

Alla fine riesco ad arrivare al locale, nella giusta Oxford Street. 45$ d'ingresso, una rapina! Ancora bestemmiando, entro e subito faccio amicizia con un gruppetto di ragazzi israeliani. Sono i primi che incontro in vita mia, e nel mio immaginario non credevo potessero essere così fulminati.

La musica pompa cattiva, l'adrenalina sale ed insieme ad essa i principi attivi contenuti nella pasticca rosa che mi hanno messo in bocca i miei nuovi amici. I suoni si fanno profondi, scavandomi le viscere. Le luci strobo catturano le mie pupille dilatate, inserendoci a tradimento le immagini dei visuals dietro alla consolle. Teletubbies danzanti che, ritmicamente, esplodono in funghi atomici colorati.

Un senso di intimo benessere e di amore per il mondo mi assale, mentra una Shiva high-tek danza meccanicamente sul proiettore.

Non sono troppo in me, questa roba è potentissima. Saltiamo e ci abbracciamo, nell'aria risuonano le nostre urla sovrastate dai bassi. Perfetti sconosciuti, uniti da questa maestosa empatia chimica.

Mi stacco dal capannello d'israeliani per un attimo, ed incrocio i suoi occhi: grandi di natura, ma spalancati ancor di più dalla stessa sostanza che m'inebria il cervello. La faccia è di una perfezione disarmante, distesa in un sorriso meraviglioso. Le sorrido e le soffio un bacio. Lei coglie il gesto e si avvicina a me ballando. Mi guarda negli occhi e, senza preavviso, mi bacia appassionatamente.Dentro di me qualcosa esplode, come una sorgente di vibrazioni nel basso ventre. Mi stacco un secondo, la guardo meglio: è bellissima.

Automaticamente mi si stampa in testa una frase: "In bagno, ora!".

Inizio a pensare a come giocarmela, ma le ondate di piacere mi distolgono dall'idea. L'abbraccio, ballo con lei e la faccio ruotare. Rimaniamo così, uniti in un abbraccio totale, incastrati l'uno nell'altra, complementari. I suoi glutei scalciano contro il mio pube, ritmicamente, scanditi dalle pulsazioni della musica. Bassi rotondi, circolari. Quello che credo possa essere una rappresentazione verosimile del respiro della Terra. Sento scintille, ogni volta che ci sfioriamo, scariche elettriche che partono dalla nostra congiunzione e si scagliano verso terra, rientrando in essa. La mia temporanea metà sembra essere completamente a suo agio, si gira di nuovo e mi bacia ancora.

Non ci siamo ancora detti una parola, e forse è meglio così: è talmente naturale questa intimità spontanea, che le parole non potrebbero che rovinarla.

E' mattina. Apro gli occhi e mi ritrovo davanti un becco nero ed accuminato.

Dove cazzo sono? Dov'è finita Lei?

Mi guardo intorno e capisco di esser steso su una panchina in un parco. Sono imbozzolato nel giubbotto, col cappuccio tirato su. Mi tiro a sedere ed osservo il proprietario del becco: un uccello dalle dimensioni di un tacchino, bianco con la testa nera, che razzola nel prato con il becco sproporzionato. Alza la testa, mi guarda di traverso ed improvvisamente emette un raglio da asino che mi fa trasalire. "Taci, ché ho la testa che mi scoppia...", penso mentre mi alzo dalla panchina.

Mi dirigo verso la fermata. Credo che oggi lo passerò ad osservare la gente fare surf dalla collinetta di Bondi Beach. Il giro turistico è rimandato a quando starò meglio.

Ho bisogno di riflettere sulla notte appena passata.

Terra. 1 Agosto 2007 – Partenza da Sydney.

Il tassista indonesiano che mi riporta verso l'areoporto è in vena di chiacchere. La figlia si sposerà dopo poche settimane e non sta nella pelle dall'emozione. Il futuro marito è un benestante australiano, che ha deciso di celebrare il matrimonio proprio in Italia, a Torino.

Quando scopre che sono italiano m'invita seduta stante al matrimonio. Obbietto che non sono proprio vicino a Torino.

«Nemmeno qui è vicino all'Italia, ma tu sei qui», riponde lui sorridendo.

Sorrido anch'io, valutando l'idea. Non ci andrò mai, lo sappiamo entrambi, ma è bello questo senso di amichevolezza che quest'uomo radioso mi trasmette. A chi verrebbe mai in mente d'invitare un completo sconosciuto al matrimonio della figlia?

Mi distraggo, vedendo Hyde Park scivolarmi a fianco. Nelle due settimane appena passate sono incappato in questo polmone verde svariate volte, approcciandolo da ogni lato. Sembra esserci qualcosa che mi calamita qui ogni volta che mi perdo. Non è un brutto posto, ma è un parco all'europea, ordinato, pettinato all'inglese. Solo gli uccelli sono diversi.

Nulla a che vedere con il giardino botanico che spalleggia l'Opera House: un campionario di bellezze floreali e faunistiche da levare il fiato, che ti ricorda che nonostante la lingua e il colore della pelle degli abitanti – quelli importati, chiaramente –, siamo dall'altra parte del mondo. Un altro continente, diverso da tutti gli altri, come se fosse capitato su questa terra per caso. Una miscela surreale di tribalità aborigena e di ordine anglosassone. Peccato che qui il lato aborigeno sia sopravvissuto, almeno a Sydney, solamente nelle grafiche delle T-shirt da turisti e nei gruppetti di suonatori di didjeridoo sulla banchina del porto. Ma la natura, al contrario, lo difende e lo protegge testarda, a dimostrare che per quanto ci si possa impegnare a rendere un posto la fotocopia di un altro, le peculiarità sopravvivono.

La natura ci tiene alla diversità, fortunatamente. Siamo noi a voler appiattire questa terra, a renderla uniforme e conosciuta, prevedibile. Siamo noi a non meritare i doni che la natura ci ha dato, col suo infinito impegno e fantasia. Non tutti, ovviamente: solo la nostra cultura occidentale. Chi ha veramente un legame con le proprie radici cerca di unirsi a questa strenua difesa. Soltanto che sono sempre meno. La battaglia è sempre più dura.

Mi rattristo un attimo. Non voglio partire. Ho visto troppo poco di questa splendida terra, ho ancora troppe cose da capire. Sarà solo un arrivederci, ne sono sicuro.

Guardo il cielo, nel quale entro un paio d'ore mi librerò per tornare in patria. Proprio lui, il cielo. E' strano pensare che sia lo stesso che vedevo dall'Italia: è di un azzurro così intenso da lasciarmi senza fiato. Solo due sottili linee bianche di nuvole a bassa quota, a smorzarne la lucentezza. Non ho mai ammirato niente del genere: hanno una definizione, una precisione nella forma, che sembrano esser state dipinte lì appositamente per cercare di rendere più terreno il monocromo della volta celeste.

Il tassista imbocca la strada dell'areoporto, mi scarica davanti alla departures zone. Scrive i suoi contatti su di un pezzo di carta.

«Ci sentiamo tra qualche settimana, devi davvero venire a Torino».

Sorrido. Gli stringo la mano. «Ci proverò. Auguri a tua figlia, amico».

Simone Piccinni

THREE FACES

RECENT POSTS:
SEARCH BY TAGS:
bottom of page