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Di nuovo sulla Strada - Viaggio in Tasmania, atto II°

Dopo due settimane passate in Tasmania in compagnia della mia amica, continuo il mio viaggio da solo, armato della mia fidata tenda.

Mi fermo nel Parco nazionale alle pendici di Mount Field, trovando ospitalità nel bosco davanti casa di una hippie di nome Barbara. Come me altri ragazzi usufruiscono dell’accoglienza della donna che mette a disposizione un cucinotto e una doccia all’aperto per i viaggiatori che passano di là. Il bosco è enorme, tanto che la notte mi ritrovo immerso nel verde, isolato dagli altri esseri umani. Intorno a me, solo i canguri saltellano nei dintorni della tenda. Dopo tre giorni di escursioni straordinarie a piedi - di cui una di sei ore - , mi ritrovo la sera a chiacchierare davanti al fuoco con gli altri ragazzi che sono accampati con me. Alla conversazione partecipa anche Barbara, che si preoccupa di dare qualche consiglio spassionato a un dilettante allo sbaraglio come me.

«Se vuoi sapere come la penso, secondo me non dovresti farlo. Non sei attrezzato e poi se ti beccano i ranger sono guai».

Parole al vento. Ormai ho in mente qualcosa di grande, non importa se correrò dei rischi o meno. L’obiettivo è Cradle Mountain, il luogo simbolo della Tasmania. Da lì parte un percorso, chiamato Overland Track, da fare a pied,i che attraversa per decine di chilometri il Parco Nazionale fino ad un altro posto incantevole,il Lake St.Clair. Il percorso durerà circa 7-8 giorni. Sono pronto: zaino pieno di roba invernale per il freddo notturno, tenda, coperte e provviste sufficienti, non mi manca nulla. L’unico, si fa per dire, problema è che durante il periodo estivo dovresti registrarti all’inizio del percorso e pagare dollari 200 - duecento - per contribuire alla salvaguardia del territorio e alle spese di salvataggio dei dispersi o dei feriti durante il cammino. Inutile dire che non ci penso neanche a dare tutti quei soldi e così progetto di entrare di nascosto. Cercherò di eludere e scansare i ranger quando e se li troverò - ottimo piano-.

Parto da casa di Barbara un lunedì mattina presto e, come avevo sempre fatto da quando ero in Australia da solo, mi metto ad aspettare un passaggio al lato della strada col pollice alzato. Nonostante l’autostop sia illegale, la gente è disponibile e amichevole nel portarti con sé in macchina. La polizia mi ha fermato soltanto una volta due mesi fa quando, effettivamente, lo stavo facendo troppo vicino a un centro abitato; ero riuscito a cavarmela solamente con un ammonimento grazie alla solita scusa del “non lo sapevo” e del “non sono di qui” e il tutto era finito lì. Ma il giorno della partenza verso Cradle Mountain è diverso perché, con la mia scelta di intrufolarmi di nascosto nel parco, mi sento come se avessi lanciato una sfida alle forze dell’ordine. Sono teso, in guardia. Questa tensione si fa palpabile quando vedo avvicinarsi proprio un’auto della polizia. «Iniziamo bene», dico fra me e me. Quando accosta ero già pronto con le scuse e il ritornello dell’altra volta, ma subito dopo aver abbassato il finestrino il giovane agente pronuncia delle parole che mi spiazzano:

«Salta su, dove sei diretto?»

Le infradito ai piedi appoggiati sui pedali, l’heavy metal degli Steel Panther che risuona dalla stereo a tutto volume. Se queste sono le autorità in Tasmania posso stare tranquillo. Mi accompagna per alcuni dei 350 chilometri che mi separano dalla mia meta. Lo saluto e mi riposiziono nella mia ormai abituale posizione a pollice alzato.

Quasi non riesco a trattenere l’emozione quando vedo avvicinarsi in lontananza un camper colorato di azzurro e giallo. Se non si ferma lui, posso anche farmela a piedi. Per una volta le mie preghiere vengono ascoltate e l’autista inizia a rallentare a qualche metro da me. Mentre si ferma posso osservare meglio questo curioso mezzo di trasporto: è un Volkswagen Synchro anni ‘90 targato Deutschland, dai colori e dalle forme quantomeno bizzarre. Teschio di ariete con tanto di corna sul davanti, bandierina australiana che sventola su un lato, tema desertico con annessa gigantografia di un cammello per la livrea, e, ovviamente, guida a sinistra all’europea. Appena salgo faccio amicizia con il buon samaritano di giornata. Si chiama Jurgen e avrà all’incirca cinquant’anni. La conversazione si sposta subito sulla sua casa a quattro ruote. Mi racconta che se l’era fatto spedire via nave per il suo lungo viaggio di un anno e mezzo a Down Under. Ci è talmente affezionato che, dopo la rottura del motore, se ne è fatto spedire un altro via nave dalla Germania, visto che qui non riusciva a trovarlo. Una volta arrivato dopo tre mesi, se l’è montato da solo senza problemi e poi è ripartito. Un ingegnere. Un personaggio.

Scorrono alcuni chilometri e ci fermiamo per fare il bagno in un lago. Dopo la nuotata mi offre un caffè e dei biscotti. Mi racconta della sua infanzia povera nella Germania dell’Est e di quando dopo la riunificazione c’era il rischio che non potesse percepire alcuna pensione. E di come, da quel momento in poi, abbia lavorato come un matto costruendo case praticamente da solo, assicurandosi dagli affitti una rendita anche senza la pensione statale. Parliamo delle ingiustizie del mondo, degli interessi delle multinazionali che inquinano la ricerca della vera risoluzione dei problemi, della politica corrotta dei nostri Paesi…

Una semplice conversazione è diventata un dialogo sui massimi sistemi. Mi piace stare con lui, ma so anche che le nostre strade sono destinate a separarsi. Lo saluto e lo ringrazio. Chissà se ci saremmo incontrati di nuovo. Nella mia mente però adesso c’è soltanto la sfida delle sfide. Sono all’inizio dell’Overland Track e mi incammino verso Cradle Mountain passando davanti al punto registrazioni facendo finta di niente.

Gianluca Bindi

THREE

FACES

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