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Un'offerta da non rifiutare - Viaggio in Tasmania, atto III°

Lo zaino pesa. Sono cosciente che sarà dura, che dovrò stare attento a inventarmi una storia nel caso qualcuno mi scoprisse. Analogamente al Cammino di Santiago terminato tre anni prima, comincio a pensare che la sfida - come a quel tempo - non sia con la fatica, con il percorso duro o con le condizioni atmosferiche. La sfida è con te stesso.

Il paesaggio paradisiaco che mi circonda fa solo da contorno alla voglia di mettermi costantemente alla prova. Anzi, forse la compensa in qualche modo. La prima tappa è veramente dura, impervia. Mi ritrovo davanti catene piantate nella roccia su cui devo compiere vere e proprie arrampicate. Lo zaino pesa. Le persone che incontro non fanno altro che ricordarmelo.

«Dove pensi di andare con quel coso?»

Come risposta si devono accontentare di un sorriso affaticato e tanto menefreghismo dantesco - Non ti curar di loro, ma guarda e passa -. Non so quanto potrebbe pesare. Non mi interessa e sinceramente forse è meglio non saperlo. L'importante è trovare il passo. Tante, ma brevi, pause un po’ per riprendere fiato e un po’ per ammirare la bellezza che ho attorno. Cradle Mountain si staglia alla mia sinistra: uno spettacolo. Più a valle il Dove Lake si allunga fra i rilievi dando vita ad altri laghetti la cui acqua è così pura che ci si può tranquillamente riempire la borraccia.

Verso sera i riflessi del sole riscaldano e ritingono i colori di tutto il Parco Nazionale, incluso The Bluff in lontananza. Verso le 6 mi fermo in una piccola piana insieme ad altra gente. Monto la tenda, mangio. Stanco per i dieci chilometri della prima tappa appena conclusi, ma euforico. Non ho incontrato nessun problema e soprattutto nessun ranger. Mancano ancora 9 tappe, ma ormai penso già di essere fuori pericolo, non mi può più fermare nessuno. Almeno credo. All’improvviso vedo avvicinarsi un ometto con giacca, cappello e tanto di distintivo.

«Salve sono il ranger, mi può mostrare il pass per favore?».

Beccato, lo sapevo. La possibilità non era poi così tanto remota, ne ero consapevole, ma rimango comunque molto deluso. Riesco a non farmi fare la multa da 600 dollari, fingendomi il classico tonto che cade dalle nuvole. Con molta calma e gentilezza mi spiega che non ha motivo di credere che la mia storia sia falsa - sì certo, come no -, ma l’indomani mattina sarei dovuto tornare indietro altrimenti, se fossi stato fermato un’altra volta, non ci sarebbe stata alcuna clemenza. Mi dice che sta già avvertendo gli altri ranger sparsi lungo il cammino. Dopo una notte insonne, un po’ per il freddo un po’ per i sensi di colpa, esco fuori dalla tenda di buon ora, pronto per incamminarmi col sole sempre basso sull’orizzonte. È incredibile quanto può cambiare l'umore in poche ore. Mi sento uno stupido ad aver pensato di volerla fare franca. Sono anche leggermente frastornato dal grande sbalzo negativo di atteggiamento mentale. Non lo so, ma mi viene da pensare che forse avrei dovuto rimanere con Jürgen, e che l'avevo lasciato troppo presto, senza neanche portare a termine quello che mi ero prefissato.

Il silenzio. E di nuovo Cradle Mountain, che si erge imperiosa davanti ai miei occhi. La fatica che, al contrario di ieri, sta diventando insopportabile. La conosco questa fatica. È la stessa che mi ha steso su un ciglio della strada sui Pirenei qualche anno fa. Una fatica che scava dentro l'anima e fa venire a galla i tuoi conflitti, le tue paure, le ansie segrete che non hai neanche il coraggio di rivelare a te stesso. Te le mette lì davanti ai tuoi occhi. Se vuoi andare oltre devi liberartene, non c'è verso. E così faccio: a ripensarci dopo un anno, per me è stata qualcosa di molto vicino o almeno paragonabile a un percorso spirituale. Piano piano, passo dopo passo, cominciano a svanire come se il tutto fosse un processo essudativo, per ripulire il marcio che si è accumulato dentro di me in passato. Arrivo al punto di partenza verso mezzogiorno. Mangio, mi lavo, vado in bagno e sono pronto per ripartire. Sì ma per dove? Non ho pensato a nessun altro posto e sono così emotivamente vuoto che non ho la forza di pensarci. Se da una parte mi sento completamente abbandonato alla strada e alla giornata senza una meta, dall’altra ho la inebriante sensazione di essermi finalmente liberato da ogni ostacolo mentale. Tradotto in parole povere: adesso me ne strafrego altamente di tutto. Faccio di nuovo l’autostop e salgo a bordo di un pulmino di ragazzi francesi. Mi chiedono dove sono diretto.

«Da nessuna parte. Ad essere precisi sto andando dove mi state portando voi»

Posso affermare con una lucida convinzione data da esperienze personali che la via che si cerca - metaforica o no - si apre chiara davanti a te soltanto quando ti lasci trasportare dagli eventi, una volta spenta la mente logica e consequenzialista che la cerca spasmodicamente tutti i giorni.

Faccio amicizia con il gruppo, mi offrono delle birre, visitiamo insieme luoghi particolari lungo la strada. Infine entriamo in una cittadina di mare chiamata Strahan, sulla costa ovest, luogo in cui il gruppo ha intenzione di fermarsi per la notte. Saluto tutti, ringrazio e mi avvio in cerca di un posto dove sistemare la tenda. Attraverso un parcheggio per raggiungere la spiaggia e me lo trovo davanti. Il Mezzo con il cammello che mi guarda e sembra dirmi:

«Adesso sei sulla strada giusta».

Jürgen è a Strahan ma non so dove. Parto per cercarlo. Sono quasi commosso. Lo cerco in tutti i bar e i locali ma niente, fino a che non sento uscire il suo nome da una conversazione fra due uomini sulla sessantina. Non so perché fra tutta la gente che è a giro in quel posto gli orecchi mi sono caduti proprio su loro due che parlano. A dire il vero, non so neanche se l’abbiano pronunciato o meno il suo nome. Fatto sta che li fermo, chiedo e viene fuori che sono i suoi compagni di viaggio. Si sono conosciuti ad un raduno di pulmini Volkswagen a Melbourne e hanno deciso di viaggiare in Tasmania insieme, ovviamente ognuno col suo mezzo. Mi dicono dov’è e lo raggiungo. Lo abbraccio, gli racconto cosa ho passato su Cradle Mountain e di come sono arrivato a Strahan. Scolati i bicchieri di birra, faccio per salutarlo e augurargli buon proseguimento del viaggio. Ma lui mi blocca e mi fa:

«Stiamo andando a fare un tour della costa ovest, ci metteremo massimo una settimana. Se vuoi puoi venire con noi, che ne dici?»

Un’offerta che non posso rifiutare. E allora eccola là, la via. Ci sarei mai arrivato programmandola a tavolino? In quel momento ho pensato che non potevano essere coincidenze. C’era un percorso che mi stava portando da qualche parte, c’era un senso in tutto il mio girovagare apparentemente senza meta. Non so dire se è stato tutto scritto prima oppure se è stata solamente la fortuna sfacciata nel caos, ma sono sicuro e consapevole che il viaggio mi sta portando proprio dove voglio. E non vedo l’ora di scoprire dove.

Gianluca Bindi

Three

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