top of page

Alfalfa - Erasmus in Spagna - Sevilla

Sevilla pare esser stata presa d'assedio dagli Italiani, quest'anno. Sembra che un enorme fetta di chi doveva fare l'Erasmus abbia optato per la Perla del Sud. Vai a farti una cervezita in Alfalfa, e se non fosse per l'architettura dalle influenze arabeggianti potresti pensare di essere in una qualsiasi piazzetta di una qualsiasi città universitaria italiana. La predominanza di Erasmus provenienti dallo stivale è inconcepibile.

Per non parlare di chi ha deciso di viver qui in pianta stabile, che forse sono i peggiori: ora, la cucina italiana è famosa nel mondo, ok. Vuoi tirare su il tuo ristorante pizzeria in centro? Nessun problema. Ne vuoi aprire un altro. Ok. Ma al momento di scegliere il nome che cazzo ti è passato per la testa? La Mafia. Il Padrino. Ora, a meno che sia un omaggio alle proprie radici e al senso di affiliazione del ristoratore, mi pare decisamente di cattivo gusto dare un rimando del genere al nostro paese. Come se una steakhouse americana si chiamasse Death Penalty. O un ristorante giapponese chiamato Fukushima.

Anche se, a giudicare dalle facce dei gestori dei suddetti ristoranti, la prima ipotesi non è assolutamente da scartare. Ad ogni modo, volente o nolente, in Alfalfa ci passo parecchio tempo: è la piazzetta di riferimento della mia gallina dalle uova d'oro. O meglio, marroni. Ogni tre o quattro giorni mi fiondo qui a rifornirmi delle specialità importate direttamente dal Monte Atlante, e già che ci sono mi fermo a guardare il passaggio sorseggiando un botellìn di Cruzcampo. La cosa che più mi affascina è la diametrale differenza tra la piazza vera e propria e calle San Juan, la stradina laterale in cui si concentrano i bar frequentati dagli Erasmus: tranquilla, popolata di sevillani veraci, con il suo baretto losco e le famigliole che portano a spasso i figli di sera l'Alfalfa; caotica, chiassosa e degradata ed intasata d'italiani, San Juan. Non senti quasi parlare spagnolo in questa stradina. Tendi le orecchie, isolando i suoni nel brusio, e capterai solo «Oh, allora andiamo al Caramello dopo!» ,o ancora «Guarda che figa!», e via discorrendo. L'unica differenza è che alla fine ci buttano un tio, come se questo bastasse a dare una pennellata di esoticità alla frase. Un indicatore che cerca di rimarcare il fatto che, sebbene l'aspetto e il comportamento sia quello da branco in gita, “noi” viviamo qui, siamo del posto. Quelli realmente del posto ignorano la movida importata e vivono sereni. Il contatto è quasi assente.

Oggi siamo qui, di pomeriggio stranamente. Ah, dimenticavo: sono in Erasmus con la mia ragazza (“Bella prova, coglione”, direte voi. Beh, le esprienze mica devono essere tutte uguali...).

E' primavera inoltrata. Il che, grazie alle temperature andaluse, si traduce in un clima da ferragosto afoso italiano. Le strade sono poco popolate di giorno. Non ancora come d'estate, durante la quale la città assume un'aria spettrale e desertica. Covoni di fieno che rotolano per le viuzze del centro, sudando pure loro.

Siamo capitati qui per caso, perdendoci nella nuvola di stradine caotiche che compongono il centro. Ci fermiamo a prendere una birra, per combattere l'arsura. Ovviamente ci tuffiamo sul dehor del baretto losco, snobbando il Blues Bar e le altre mecche studentesche. Buttiamo giù la birra, accompagnata da un paio di tapas.

Adoro i bar spagnoli, e il concetto di tapas: piattini di leccornie incredibili in mini-porzioni a prezzi decisamente ragionevoli. Con 10 euro ti fai quattro o cinque assaggi e più o meno il pasto è fatto. Mangi e di conseguenza bevi di più, i gestori ci guadagnano comunque. E l'ambiente non è da meno: più tranquillo e rilassato di un ristorante, più conviviale e allegro di un bar nostrano. Non è raro passare di fronte ad uno di questi locali alle 3 di pomeriggio e sentire dall'interno gruppi di persone che cantano a squarciagola, già ciucchi come un inglese il venerdì sera. Dà al contesto un'aria vitale, solare.

Sediamo ad un tavolino in piazza rilassati e sereni, felici della tranquillità che respiriamo nell'aria. Al secondo botellìn una figura si stacca dallo sfondo. Uno strano personaggio: coda di cavallo, basette appuntite, camicia bianca sbottonata, jeans e stivali. Una specie d'incrocio tra un cowboy ed un pirata di sessanta e rotti anni. Era immobile sulla porta del bar da prima che arrivassimo, contemplando con un'espressione bonaria il poco movimento della piazza. Sembrava così a suo agio e naturalmente adattato all'ambiente circostante che quasi non l'avevamo visto.

«Scusate il disturbo, ragazzi. Volevo solo dirvi una cosa». «Permettetemi di presentarmi: sono Juan, poeta e viaggiatore di professione», detto questo si esibisce in un coreografico inchino. Chiunque, con quel gesto, sarebbe risultato quantomeno anacronistico, ma per il personaggio questo movimento sembra calzare a pennello, spontaneo ed efficace.

«Vi guardavo da un po' e non ho potuto resistere all'impulso di congratularmi con voi per la luce che emanate: l'Amore e la naturalezza che vi circonda nella vostra tranquillità mi ha riempito la giornata».

Sorridiamo imbarazzati, non sapendo bene come prendere quest'intromissione.

«Beh, grazie...» , rispondo impacciato, pensando al solito rompicoglioni e potenziale scroccone.

«E' questo il senso della vita: la positività è libertà. Liberarsi dai fardelli di negatività che c'ingabbiano e spengono la nostra luce. Senza positività non c'è vita, non c'è amore, non c'è libertà. Cercate di mantenere viva quella luce, condividete col mondo la vostra pace ed avrete in cambio la libertà». Il tutto con un sorriso così radioso e sincero da lasciarmi spiazzato.

«Ora è meglio se vado, non voglio interferire oltre con questo spettacolo. Ma non sarei stato bene con me stesso se non vi avessi ringraziato per ciò che mi avete involontariamente donato». Si esibisce in un altro inchino e se ne va, imboccando calle Alfalfa.

Rimaniamo al tavolino, con la birra che si scalda, a guardare quella strana figura che cammina storta per la piccola via, completamente a suo agio nel mondo. Deve aver capito qualcosa che ancora mi sfugge. Gli illuminati esistono, vanno solo cercati. O avere la fortuna che uno di loro si accorga di te. (Questa che trovate qui sotto è una pseudo-poesia che scrissi quella sera, ispirato dal surreale incontro del pomeriggio. Ho deciso di condividerla con voi, nonostante sia intimamente convinto del fatto che faccia schifo, perchè credo che nella sua poca grazia e valenza poetica, lasci traspirare una mia profonda convinzione del fatto che i valori siano radicalmente cambiati, nelle ultime generazioni. E non in meglio. Dunque, se potete, non siate troppo severi nel giudicarla. Non sono un poeta.)

Ore 18 Seduti ad un tavolino argentato guardando la piazza gremita bambini che corrono, genitori sereni io, lei e due bicchieri gelati. Un uomo sui sessanta, dagli occhi profondi

scavati dal rum e dalle esperienze

osserva la nostra pace fuoriluogo, sorride: “date sempre il vostro lato positivo è libertà, ed è l'unica via possibile

altrimenti non c'è vita, non c'è amore

non può esistere l'essere umano

nella sua forma più completa”. Alle sue spalle, appoggiato contro il muro,

un vecchio camorrista guarda la piazza

con gli occhi da faina e il ghigno famelico. Anche il crimine è libertà: ne è l'altra faccia.

Qualcosa hanno capito, questi vecchi

dai loro anni sulla terra

essere liberi, non apparirlo, questo è il segreto. Ore 00 Stesso posto, ambiente diverso

la piazza è gremita, ma di giovani tutti uguali, con una bottiglia in mano

e l'obbligo inconscio di sembrare divertiti. Ascolto due voci scelte a caso: dissertano di serate e ragazze, assenza di parenti e regole accettate, e di coscienza, da annegare in una coppa. Due voci mi rapiscono, per fortuna, proprietarie due ragazze favolose: scambiate il sesso, il tema resta uguale, calando pure un ché di fashion e di comare. Mi chiudo nel mio mondo, bevo a dismisura lei al mio fianco mi sorride triste il posto è lo stesso, ma sembra un'altra razza svuotata dall'interno, gusci vuoti sorridenti. Sarò pessimista, tralascerò il positivo, ma la mia generazione, la libertà, non sa nemmeno dove sta di casa... Simone Piccinni THREE FACES

Photo Credits: Marcio Palmeira

RECENT POSTS:
SEARCH BY TAGS:
bottom of page