Anno scolastico 2006/2007. Eravamo già a maggio, la maturità si avvicinava. Invece di preoccuparmi di come arrivarci, pensavo solo ad una cosa: dove sarei andato appena l'incubo fosse finito.
La conclusione della scuola superiore è sicuramente un passaggio fondamentale nella vita di una persona, ma ai miei occhi di adolescente, cresciuto con il mito di “On the road”, non appariva neanche paragonabile al successivo viaggio di maturità.
Dove andare? Con chi andare? Quanto stare? Mare? Montagna? Città? E chi se ne frega del fatto che, se mi avessero bocciato, col cazzo ci sarei andato in vacanza.
Ormai la testa era partita, immaginava ogni tipo di itinerario possibile, solcando mezzo mondo in cerca dell'esperienza perfetta.
Non facile visto che l'anno prima, all'esperienza perfetta, non è che ci fossi andato tanto lontano: con gli amici di una vita abbiamo comprato un pulmino Fiat Panorama 900 dell'87 e ci siamo girati tutta la Sardegna. Non proprio il coast-to-coast di Kerouac, ma da qualcosa bisognava pur partire. In duemila chilometri - fra l'altro fatti tutti dall'unico di noi che aveva ritenuto importante prendere la patente - non ci siamo fatti mancare nulla: mare, montagna, amori andati male - più di uno - , amori andati bene - meno di uno -.
Il tutto immortalato sul diario di lamiera che era diventato il nostro mezzo di trasporto: partito di un immacolato bianco neve e tornato completamente coperto di firme, disegni e saluti lasciati da chi avevamo incontrato.
L'idea di ripetere qualcosa del genere, magari varcando per la prima volta insieme i confini italiani, era però da escludere, visto che gli occhi disegnati del nostro fedele pulmino ci chiedevano solamente pace e riposo.
A un tratto un'illuminazione. La risposta era li, semplice, davanti ai nostri occhi. Bastava guardarci allo specchio: eravamo dei fricchettoni, inutile negarlo. E quale vacanza non possono non fare dei fricchettoni? L'interrail.
La decisione era presa, saremmo andati col treno! Vi risparmio i dettagli di una rocambolesca promozione per arrivare al momento che aspettavo con ansia da due mesi: il giorno della partenza.
Lo zaino mi guarda impaziente. Quando arrivo al ritrovo, fissato all’alba nella stazione di Montecatini, capisco subito una cosa: non avremmo trombato. Il colpo d’occhio è notevole: siamo una via di mezzo fra un gruppo di circensi e degli scappati di casa dopo un disastro naturale.
L’incertezza della meta ci ha spinto a portarci dietro più cose possibili, fra cui molte di dubbia utilità - e gusto -.
Contro ogni previsione al momento della partenza non ci sono dispersi e, conciati in questo pittoresco modo, saliamo sul primo di una serie infinita di treni che ci porteranno chissà dove. Già, proprio chissà dove.
Perché di fare un itinerario, in due mesi di preparativi, non era venuto in mente proprio a nessuno. Appena ci sediamo, inevitabile si apre il dibattito. Premetto che siamo in sette, e, basandoci sull’assunto che ci spetta circa mezzo cervello funzionante a testa, la discussione su dove andare potrebbe essere pressoché infinita.
Andalusia, Bordeaux, le prime proposte. «Col cazzo, si muore dal caldo», «a fare cosa a Bordaux», le prime risposte. Stallo.
I botta e risposta si susseguono senza tregua e, soprattutto, senza risposta. Decidiamo di semplificare la decisione. Partiamo dall’unico punto universalmente accettato e che nessuno ha mai messo in discussione: uscire dall’Italia. Mani che frugano alla ricerca di cartine - fortunatamente c’era chi si era preoccupato, non io, di non portare solo quelle per fumare - per disegnare la rotta per raggiungere lo scopo il più in fretta possibile. Stabiliamo le prime tappe - Genova, Ventimiglia e Nizza - e ci armiamo di pazienza per quelle che saranno lunghe ore di treno. Le chiacchiere e le prese di culo si sprecano, portando alla seconda decisione di giornata: dove si arriva si arriva, la prima cosa che si fa, è il bagno.
Le stazioni si susseguono senza sosta e finalmente, dal finestrino che guardo ormai da non so quanto tempo, si iniziano a intravedere le prime case di Nizza. Ci siamo, il tempo di rallentare, qualche fischio del capotreno e siamo all’aria aperta.
Carichi di roba e con le gambe completamente anchilosate, ci guardiamo a vicenda, interrogativi: e ora?
Sono le sei di pomeriggio passate, la razionalità imporrebbe di cercare subito un posto dove passare la notte, o almeno dove lasciare il nostro ingombrante bagaglio. Ma avevamo fatto una promessa e, a quanto pare, a Nizza c’è il mare...
Usciamo dall’acqua due ore dopo con il sole che ormai sta salutando con un bellissimo tramonto, con ancora meno idee di prima ma pienamente soddisfatti del sale che abbiamo sulla pelle.
Vabbè, si farà come abbiamo sempre fatto e si dormirà in spiaggia. Sicuramente belli riposati, visto che a ogni notte passata all’aperto corrisponde un risveglio all’alba.
Mentre ne parliamo, immancabile, salta fuori il prezzemolo d’Europa: l’italiano all’estero. Che, ovviamente, non può fare a meno di spiegarci lui come funziona a Nizza, terrorizzandoci su quello che succede durante la notte sulla spiaggia. Rapine, stupri e omicidi come se non ci fosse un domani.
Non senza vergogna, devo ammettere che ci siamo cagati sotto, e abbiamo deciso di seguire questo ragazzo più o meno nostro coetaneo, che propone di farci da guida per trovare un posto dove dormire. L’unico nostro imperativo è spendere poco.
Camminando, cominciamo a chiacchierare col ragazzo, che ci racconta che è li per seguire una scuola privata estiva internazionale, il tutto detto senza prendere fiato.
Qualche parola in più e capiamo due cose: uno, è un coglione, e due, abbiamo concetti di spendere poco molto diversi.
La notte è quasi scesa quando con un’abile mossa ci liberiamo del fighetto e della sua compagnia di amici per tornare alla nostra prima idea: la spiaggia.
E, magia, davanti ai nostri occhi increduli non si para lo scenario da guerra civile che ci avevano descritto, ma un paradiso fatto di falò, chitarre e danze in riva al mare. Sapore di casa. Ringraziamo di avere con noi una chitarra e in un attimo, giusto il tempo di appoggiare gli zaini e infamare il ragazzo di prima, siamo parte attiva della serata. Fra vino, erba e racconti, la notte ci inghiotte piano piano.
Verso le due e mezzo il gruppo di persone inizia a farsi striminzito e in poco tempo ci troviamo praticamente soli sulla spiaggia.
Tranne per alcuni loschi figuri che iniziano a puntare palesemente i nostri bagagli. Ci arrendiamo all’evidenza che forse questo non è proprio il posto più sicuro della terra e torniamo verso il centro, ormai rassegnati a passare la notte in stazione.
Ovviamente nessuno si ricorda dove siamo. Inizia il vagabondaggio per le vie di una Nizza praticamente deserta. Ormai non mi sento più la schiena per il peso dello zaino e riesco a tenere solamente un occhio aperto per volta a causa del sonno.
La stanchezza sta definitivamente prendendo il sopravvento quando, come alla ricerca di un supereroe che ci salvi, alzo gli occhi al cielo e vengo colpito da una scaletta esterna in una palazzina a due piani. Ci avviciniamo, saliamo le scale e ci accorgiamo che il tetto della palazzina è piatto e facilmente raggiungibile con un salto di neanche un metro.
Mezzi sguardi d’intesa e siamo già di la. Tutti tranne uno. Ognuno ha le sue debolezze: io se vedo un ragno mi paralizzo, lui soffre di vertigini.
Usando raffinate tecniche dialettiche alternate a pugni, lo trasciniamo sul tetto e ci prepariamo a dormire aprendo i sacchi a pelo. Il muretto ci rende invisibili dalla strada e la superficie è coperta da uno strato di gomma che la rende quasi comoda. Ho dormito in posti peggiori.
Neanche il tempo di chiudere l’occhio ancora aperto e cado nel più profondo dei sonni, lasciandomi alle spalle la mia prima notte.
Non avrei mai pensato che addormentarsi su un tetto sarebbe stato così facile.
Niccolò D'Innocenti THREE FACES
Photo Credits: Kenzo Ejiri