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Seguendo il Drago - Erasmus in Spagna - Sevilla, atto II°

Venerdì mattina, giorno della partenza per Granada, mi sveglio carico a mille. Gli altri abitanti della stanza sono molto più rilassati. Bella forza, mica devono fare il loro esordio alla consolle davanti ad un'intera platea di fulminati. Facile.

Controllo la posta per vedere se la crew francese proprietaria del sound in cui suonerò ha risposto alla mia mail: gli ho chiesto se sono dotati di CDJ o suonano in vinile, ma col cazzo che han risposto, i fottuti marcioni. Saranno già lì a demolirsi, visto che il festival iniziava oggi.

L'incertezza è una costante delle mie attività, ormai dovrei averci fatto l'abitudine, eppure sono sempre diviso tra una forte volontà organizzativa e una costante di casualità d'azione finale. Mi sparo un bong per non farmi prendere dal panico di questo pensiero introspettivo, mentre Tiziana e Matti si alzano.

Supero lo svarione e passo in rassegna la roba: cd per suonare, sì. Zaino, pure. Chiavi di casa, ci sono. Non manca nulla.

L'appuntamento è in Plaza de Armas con Nicola, per prendere un bus fino alla stazione di Santa Justa, dove recupereremo la macchina a noleggio. Ci dirigiamo al luogo di ritrovo e collassiamo seduti per terra, nei pressi della pensilina. Nico non ci mette troppo ad arrivare, e in men che non si dica ci ritroviamo a ridere e cazzeggiare sul pullman.

Arriviamo all'autonoleggio e ci troviamo di fronte l'espressione leggermente contrariata dell'impiegata: siamo in tenuta da rave e, probabilmente, non sembriamo i personaggi più rassicuranti cui affidare una macchina. 'Sticazzi, abbiam prenotato, ce la deve mollare per forza.

E non è tutto: per un disguido con le prenotazioni la nostra utilitaria è stata data via, quindi ci mettono a disposizione allo stesso prezzo un capiente e confortevole minivan Peugeot. Ogni tanto qualcosa dovrà pur girare nel verso giusto, no?

Dopo una tirata da un quarto d'ora sulle regole d'utilizzo, una profonda ed accurata ispezione dei danni ed un'altra serie di occhiatacce dall'impiegata, finalmente ci consegna la macchina. Bene, e ora dove cazzo andiamo?

Sevilla è grandicella, e nella nostra condizione di studenti appiedati non abbiamo mai esplorato troppo a fondo le periferie. Ovviamente nessuno ha una mappa, nella migliore tradizione zingaresca. Da che parte sarà Santa Justa?

Imbocchiamo 'sto vialone, và, ché ha l'aria di portare fuori città.

Incredibile il come l'urbanizzazione selvaggia abbia sodomizzato e ucciso le peculiarità dei diversi luoghi. L'architettura tipica dei centri si disperde, fondendosi col nuovo e con l'economico, sfociando nei soliti casermoni, tutti uguali, infiniti, monocromatici, cupi. Identici dall'Andalusia alla Toscana, dall'America latina all'Oriente, dall'Africa alla Russia. L'unica cosa che cambia è il clima e qualche raro e sporadico segnale distintivo. Ma nemmeno questi piccoli spravvissuti simbolici possono indicarti con precisione in quale periferia ti trovi. Una palma, soffocata in un'aiuola in mezzo al cemento, è solo un indizio: potresti essere nel Sud della Spagna, come nel Nord-africa. Il cielo plumbeo: potresti essere in Inghilterra, come a Firenze d'inverno. La lingua delle insegne: potresti essere a Prato, come ad Hong-Kong.

«Vabbè, caffeino programmatico?» butto là ai miei compagni di viaggio dopo una decina di minuti di dubbi amletici sul percorso.

«Vai, almeno capiamo da che cazzo di parte dobbiamo uscire. Comunque, secondo me, il Guadalquivir, non dovevamo attraversarlo...» , risponde Matti.

«So una sega io, 'sto fiume te lo ritrovi nel mezzo ovunque. Non ha una logica...».

Ci fermiamo al primo bar disponibile ed entriamo in banda. Gli avventori, i tipici andalusi sulla cinquantina, grassi e intabarrati nelle loro camice chiare, sogghignano alla nostra vista: colori fluo, occhiali da sole avvolgenti e andatura da collasso mattutino.

Ordiniamo quattro caffè. Il barista esegue l'ordine svogliatamente.

«Mira tio, 'pa Granada?», chiede Nicola.

«Coche?»

«Si»

«Jajajaja, bueno. Tienes un largo camino entonces, chicos», risponde ridacchiando.

Chiaro come il Sole, tio. Ovviamente abbiamo preso la strada sbagliata. Ci mostra una mappa: abbiamo imboccato la direzione diametralmente opposta: bastava dirigersi verso Avenida Andalucia per trovarci catapultati sulla A-92 verso Granada. Dovevamo andare ad Est per uscire dalla città, ci troviamo a Sud-Ovest. Perfetto.

Ci facciamo tutta la circonvallazione che abbraccia Sevilla e finalmente ci traviamo nella giusta direzione. Il cartello con l'indicazione Granada viene festeggiato con esultanze smodate e con l'accensione di una torcia celebrativa, che facciamo girare soddisfatti.

«Vai, cazzo! Ci siamo, in 3 orette siam sotto-cassa!».

Mai pronunciare una frase del genere. Mai! Il destino vi sentirà, se la riderà sornione e farà qualsiasi cosa in suo potere per smentirvi.

«Dai, mi devo caricare: passatemi qua i cd, mi ci vuole un po' di sana Drum». Tiziana mette su il primo. Camo & Krooked mi spettinano, sparati a mille dall'impianto della Peugeot. Le vibrazioni sono decisamente buone, dopo l'iniziale smarrimento geografico. Dopo un pezzone dei Dub Elements, una crew sevillana veramente cazzuta, mi prende voglia di un po' di Jungle reggaeggiante.

Cambiamo cd. Silenzio. Anzi peggio: una scritta “Error” campeggia spavalda sul visore. Panico.

«Porcoi'****canaccioellurido!!! Checcazzacciosuccede?!? Amore, prova a pulire il cd e rimettilo, ti prego».

Tiziana esegue. Reinserisce il cd: stessa fottuta scritta, sempre più beffarda.

«Mapporcoilclero! L'ho masterizzato male...», censura sulla serie di bestemmie proferite, che sforano tranquillamente i due minuti filati, «...Speriamo bene per quegli altri. Proviamoli...».

Il terzo cd spara una hit di Nero. Ok. 2 su 3, per ora ci si salva.

Il quarto demolisce le mie speranze. Di nuovo la merdosa scritta “Error”.

Il quinto ed ultimo, segue la scia e si unisce allo sciopero.

Cazzo. Non posso suonare con nemmeno la metà dei pezzi previsti. Urge una soluzione.

Siamo dalle parti di Cazalla, nel bel mezzo del nulla cosmico Andaluso. Dobbiamo rallentare la nostra tabella di marcia ed uscire. Ho una chiavetta USB con i pezzi, ma non posso arrischiarmi là solo con quella, non avranno mai dei Pioneer di ultima generazione. Alla fine sono raver, già se hanno dei CDJ è grasso che cola.

Parte la ricerca di un Internet Point in cui masterizzare nuovamente i cd. Impresa ardua, dato che Cazalla si presenta come un pueblo raccolto e decisamente poco metropolitano. Giriamo praticamente tutte le stradine che troviamo.

Alla fine, con l'aiuto di un sedicenne, riusciamo a trovare un negozietto di materiale informatico con un paio di pc a disposizione. Dietro un lauto pagamento, il gestore acconsente a farci masterizzare i cd. Esco di lì straripante felicità per aver parato l'ennesima fattonata. Nulla mi può più fermare.

Risaliamo in macchina, mettiamo i nuovi cd e l'impatto delle note, fino a poco prima assenti, mi caricano all'inverosimile. Non vedo l'ora di arrivare.

La strada prosegue tranquilla. Il panorama brullo dell'entroterra andaluso si dispiega calmo, sempre uguale. Un'enorme sagoma di un toro si staglia all'orizzonte, come in molte altre parti della Spagna.

Ci avviciniamo sempre di più. L'orario ormai è indirizzato al tardo pomeriggio. Secondo i miei piani saremmo già dovuti arrivare da un oretta. Leggi sopra.

Finalmente i cartelli iniziano ad indicare Granada, affiancata da un numero sempre più basso di km. Entriamo trionfalmente in città. Bene, e ora dove cazzo è 'sto posto?

Solita tattica: fermata al bar, accompagnata da una piccola indagine sulla destinazione. A questo giro il caffè lascia il posto ad una bella cerveza ghiacciata, condita dalle immancabili tapas. A differenza di Sevilla, però, le tapas sono gratis. Ci spiegano che questa era una tradizione comune a tutta la Spagna, ma in via d'estinzione, danneggiata e ghettizzata dal boom turistico post-franchista. Ah, le sane e vecchie inculate ai turisti: mi sento quasi a casa, a Firenze.

Chiediamo a giro indicazioni per il Dragoon. Il massimo dell'aiuto che riceviamo è questo: “Dovete uscire dalla città, in direzione Sevilla. E' a Santa Fe, subito fuori dalla città. Salite verso la montagna e inizierete a sentire la musica”. Ok. Non troppo specifico, ma ce la faremo.

Notare poi che, qualsiasi sia l'itinerario, ci ritroviamo sempre e dico sempre dalla parte opposta. Ma vabbè, andiamo.

La sera intanto è scesa decisa, e l'oscurità avvolge tutto. Cartelli con la nomenclatura “Santa Fe”? Nemmeno a pagare, ovviamente. Cerchiamo di ripercorrere la strada dalla quale siamo arrivati, ma la memoria visiva non è aiutata dal cambio di luce. Le due-tre trombe davanti al bar, poi, hanno contribuito a rendere labile l'orientamento.

«Là ci sono delle montagne, tio!» , esclama Nicola.

«Ci sono montagne in tutte le direzioni», obbietto io.

«Quelle sono le nostre, ne sono sicuro!», insiste lui, l'ottimismo fatto persona.

«Boh, proviamo, dai...».

Iniziamo a salire per una strada alberata, nessuno a giro. Non mi da proprio l'impressione di esser la strada per un mega-festival. Troppo poco movimento.

Vediamo un'altra macchina ferma lungo la strada, con un tipo seduto dentro. Accostiamo per chiedergli indicazioni. Dentro l'auto c'è un marocchino dall'aria losca, segnato in faccia e con un'espressione, diciamo così, poco lucida.

«Scusa, per il festival?», chiediamo in spagnolo.

«Seguite me!», ci fa lui, tranquillissimo, tirando su col naso.

«Ok!», rispondiamo, con una piccola e fastidiosa pulce nell'orecchio. La faccia, d'altra parte, non è delle più rassicuranti.

La macchina parte sparata per il viale in salita. Di musica nemmeno l'eco.

«Ma avete visto che cazzo di faccia ha il tipo? Venvia, lascialo andare e facciam finta di perderlo», fa Matti, preoccupato.

«Boh, dai. Che vuoi che faccia? Alla fine noi siamo in tre maschi e lui è da solo... In caso gliele diamo»

«Sì, ma sai una sega te dove ci porta questo»

«Dai, proseguiamo un po' e poi, in caso, lo sfanculiamo»

«Mah, a me non piace troppo la situazione».

In effetti, il marocchino lascia la strada principale e inizia ad inerpicarsi in uno sterrato dissestato. Le sospensioni scricchiolano sinistramente ad ogni buca presa. Impossibile scansarle tutte, da quante sono. Iniziamo a preoccuparci. Chissà dove ci sta portando 'sto scoppiato.

In fila indiana ci si presentano tutta una serie di macabre elucubrazioni: dalla comune di marocchini cannibali, alla colonica stile “Non aprite quella porta”, per finire alla banale rapina a quattro coglioncelli di turisti sprovveduti.

Siamo lì li per cercare un punto dove fare inversione per seminare il marocchino quando, dai finestrini abbassati, inizia a salire pian piano un suono ritmato e familiare: bassi, per dio!

Ce l'abbiamo fatta! Man mano che ci avviciniamo la musica sale compatta: un muro di suono che si estende per tutta la vallata che ci si apre davanti. Il posto è immenso, vediamo un intero crinale della montagna disseminato di sound system, decorazioni e roulotte illuminate. Vaste aree coperte di tende ed un viottolino che percorre questa improvvisata cittadina.

Ci affianchiamo al marocchino per ringraziare e salutarlo.

«Spero non vi siate spaventati, ho fatto questa strada perchè di la è pieno di sbirri. Meglio evitare brutti incontri... Ricordatevene, al ritorno!», ci strizza l'occhio, tira fuori il pollice alzato e se ne va.

“A pensar male si commette peccato, ma molto spesso s'indovina”, diceva Andreotti.

Cazzata, caro mio, cazzata bella e buona.

To be continued....

Simone Piccinni

THREE

FACES

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