Il taxista ci saluta con un “suerte!” prima di ripartire, mentre io e Stefano attraversiamo di corsa la strada di fronte alla comisarìa di Fuencarral. Sulle scale riconosco il porco che stava malmenando Fede giusto un quarto d’ora prima. Come mi vede sorride e scuote la testa.
«Non è qui, lo han portato a un altro commissariato», spiega con il sorriso arrogante di chi sa di avere la risposta giusta. Lo guardo bene, forse è addirittura più giovane di me, il pischello in divisa.
«E dov’è, quindi?» «Calle Leganitos. Cerca de Gran Via. Al commissariato centrale», dice, senza smettere di sorridere con quel suo ghigno da bulletto.
«Comunque», continua, «non sperate di vederlo fino a lunedì»
«Lunedì? Come lunedì?», chiedo stupito.
«Dovrà aspettare il processo, e la domenica i processi non si fanno. I giudici non lavorano. Lunedì avrà il processo per aggressione a pubblico ufficiale, poi si vedrà».
Mi giro, evitando di mandare affanculo questa versione adolescenziale di Action Man, e mi rimetto a bordo strada aspettando un altro taxi. Stefano si lamenta per il freddo. In effetti non ha tutti i torti, visto che indosso ha solo la camicia. Dice che torna al Kapital, lui, e si scusa. Lo saluto frettolosamente, non ho cazzi di star dietro alle menate di tutti.
E poi mi sta suonando il telefono. E’ un messaggio di Stephanie.
La Madonna incassa l’insulto con eleganza, mentre apro il cellulare per leggere che razza di cagate mi scrive la stronza per giustificare la sparizione. Dice che “è molto dispiaciuta” per il mio comportamento, visto che quasi non le ho parlato alla festa, mentre lei non conosceva nessuno e si sentiva “molto a disagio”. Mi pensava diverso, dice.
Mi accendo una Lucky, sputo sui gradini della comisarìa e respiro, cercando di ricacciare indietro l’esaurimento nervoso. Spero che i Santi siano così lontani dalla terra da non sentire cosa diciamo loro, perchè stasera non sono stato esattamente carino con la categoria.
Finalmente un taxi con la luce verde accesa passa vicino al marciapiede e mi carica, direzione Gran Via. Stefano rimane lì ad aspettare un altro taxi per tornarsene al Kapital. Buon divertimento.
Durante il viaggio trovo il tempo di rispondere a Stephanie, e nonostante la voglia di scriverle un bel vaffanculo a lettere maiuscole, non è così che ci si comporta con le donne. Siamo cavalieri, noi, nobili d’altri tempi.
Le dico che vorrei vederla nei prossimi giorni per cercare di capire se in testa ha della segatura o un criceto che corre sulla ruota che, nonostante non assicuri un funzionamento eccellente all’attività cerebrale, è comunque più funzionale dei trucioli di legno. Diplomatico, elegante.
Poi il telefono suona di nuovo. E questa volta è Fede. Dice che è davanti al McDonald’s di Calle Montera, via assai nota per il gran numero di passeggiatrici che la affollano ventiquattro ore al giorno, appiccicandosi stile patella alle braccia dei potenziali clienti che hanno la sfortuna di passargli troppo vicino. E’ anche la via dei venditori non troppo onesti d’oro e gioielli e dei negozi di piercing e tatuaggi.
Lo trovo seduto sul muretto di un’aiuola di fronte alla porta di McDonald’s, con quattro lattine di birra davanti ai piedi e una in tasca. La sesta la sta bevendo. Decisamente non ha una bella cera, e guarda un punto fisso sul pavimento sporco di chewing-gum anneriti. Come mi vede si alza in piedi e ci abbracciamo.
Ora, vorrei evitare di scrivere che gli occhi di tutti e due sono lucidi, ma cazzo, il mio coinquilino se l’è vista brutta parecchio!
Mentre mi offre una delle birre che ha comprato abusivamente da qualche venditore cinese mi racconta che cazzo è successo. Prima di iniziare però finiscono almeno due birre, giusto per sciogliere la lingua. E una pisciata contro il muro a due passi dal Joy, vicino a un gruppo di ragazzi in fase avanzata di botellòn. La stanza in cui l’hanno portato era tutta bianca. «Marmo», dice, «niente mobili, niente finestre».
Lui e un dominicano contro il muro da una parte, e qualche sbirro con la fissa di Robocop dall’altra. Il dominicano piangeva, continuava a dire che non aveva fatto niente, ma non aveva i documenti in regola, e cazzo se si stava cagando sotto.
Neanche Fede era esattamente tranquillo, ammette.
Poi arriva questo stronzo in divisa e, insieme a lui, le prime manganellate. Contro il muro, prima, per fare rumore e paura. Nelle parti molle, poi, così da non lasciare segni. Gli danno una manganellata e gli chiedono i documenti. Fede risponde che non ce li ha, glieli hanno rubati una settimana prima in metro, tagliandogli le tasche mentre dormiva.
Robocop da una manganellata al muro e il dominicano si schiaccia contro la parete. Sa che dopo toccherà a lui e non saranno così gentili da fargli paura prima di pestarlo a sangue.
Un’altra manganellata e Fede tira fuori l’abono transportes con il suo numero di passaporto. La sua salvezza: è cittadino comunitario. Non possono esagerare con lui, gli sbirri maledetti. Gli danno qualche calcio e lo mandano fuori.
Nella stanza rimangono il dominicano e il suo terrore, e nessuno a raccontare cosa gli sarebbe successo.
Fede esce dalla comisarìa e va verso Gran Via, dove trova uno dei migliaia di cinesi che ogni sera vendono birra di frodo nei vicoli della capitale spagnola. Ne compra sei, poi arranca fino davanti al mcDonald’s di Montera e tira fuori il cellulare. E da lì mi chiama.
Mentre mi racconta tutto questo stiamo finendo la quarta birra e noto che, camminando verso Sol, il mio amico zoppica. Gli chiedo dove l’hanno pestato.
«Un po’ dappertutto», dice. Ma la cosa più fastidiosa è che gli han dato una manata secca sull’orecchio, e quello stronzo non la smette più di fischiare.
Rido, ride anche lui, con le lacrime secche che gli rigano le guance.
«Be’, è davvero il caso di ubriacarsi, allora»
«Cazzo se è il caso di ubriacarsi!»
«Bisogna dimenticare l’episodio»
«Merda, dovrò pur far smettere questo fischio in qualche maniera!», urla lui, mentre butta l’ultima lattina di birra ormai vuota rigorosamente per terra, con spregio.
To be continued....
Dario Bosio THREE FACES Leggi l'Atto I°