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Il Cuore della Foresta - Viaggio in Tasmania, Atto IV°

Sono passati tre giorni da quando mi sono imbarcato sul Volkswagen Synchro con Jürgen. Partiti da Strahan stiamo cercando di percorrere le vie accessibili che portano a Nord.

Per descrivere la costa occidentale della Tasmania ho bisogno però di aprire una parentesi. Il paesino costiero di Strahan si trova più o meno al centro di due realtà molto simili. A Sud si staglia la Natura incontaminata, e la mia è un’espressione letterale, totalmente priva di rimandi poetici. Il Franklin-Gordon Wild Rivers National Park, la Southwest Conservation Area e il Southwest National Park coprono un’area grande quanto la Calabria - quasi un quarto dell’intera isola - all’interno della quale la vegetazione è così fitta che ha impedito la costruzione di qualsiasi infrastruttura. In alcune zone è ancora quasi impossibile addentrarsi, se non per esploratori esperti con attrezzature professionali.

Da Strahan verso Nord la situazione si fa un po’ più civilizzata, anche se non esiste asfalto e in certi punti lo sterrato mette a dura prova la macchina. A parte qualche eccezione, per tutta la sua estensione la costa rende difficile qualsiasi approdo via nave, a causa delle scogliere e dei venti provenienti addirittura dall’ Argentina i quali, non incontrando niente altro che Capo di Buona Speranza in Sud Africa lungo la loro corsa, battono energicamente sul litorale. La via taglia in mezzo alla tipica vegetazione tasmana, la foresta pluviale temperata, salvo poi diradarsi mano a mano che ci si avvicina al mare. I pochissimi, sperduti e insignificanti paesini di poche anime che con coraggio si affacciano sul mare da queste parti sono in completa balìa dei capricci del vento, che qua è il primo fattore del cambiamento repentino del clima.

Leggiamo il bollettino meteo del 7 Ottobre 2000 - primavera inoltrata - , che riassume alla perfezione la situazione paradossale:

“In mattinata violenti acquazzoni con possibili tempeste e allagamenti. Forte vento che da fresco può diventare freddo durante il giorno. Alto indice di ultravioletti durante le schiarite. In serata nevicate attese anche sotto i 600 metri".

Non so esattamente dove Jürgen e la comitiva mi stia portando - non che mi interessi tanto - , ma i giorni se ne stanno andando piacevoli, in piacevole compagnia. Dopo una giornata passata lambendo il mare ci siamo riaddrentrati nell’interno, nella fitta e verde Arthur Pieman Conservation Area.

Dopo chilometri di sterrato, ad un tratto un fiume. Per un momento mi viene da pensare che dobbiamo tornare indietro, ma guardando verso l’altra riva notiamo che c’è una specie di barchetta, adibita a traghetto, che fa la spola: per arrivare a Corinna è l’unico modo possibile.

Il villaggio è l’unica presenza sedentaria umana nel raggio di decine di chilometri e la cartolina che ci offre non è assolutamente da disprezzare. A galla sul traghettino ci avviciniamo al luogo arrossito dai riverberi del tramonto, dove passeremo la prossima notte. Corinna appare dal nulla, in mezzo al nulla. Ci sistemiamo, la convivialità si accende durante la cena. La sobrietà e l’efficienza di Jürgen si fanno notare, dalla lattina di birra analcolica alla dichiarazione di essere riuscito a fare la doccia in campeggio con 3 - dico tre - litri d’acqua. Proteste generali di incredulità. Otto è tedesco anche lui, mentre Tom è inglese. Tutti e due si sono trasferiti tra i 40 e i 50 anni fa in Australia e quindi, dei loro paesi d’origine, ne conservano non più che un retaggio nell’accento. Il mio inglese piano piano si scioglie, acquistando sicurezza. Se non altro mi trovo insieme a gente disposta a non giudicarmi quando tiro qualche sfondone. Quando non pensi a non sbagliare, alla pronuncia, e se poi c’è pure un po’ di alcol che catalizza la conversazione, è la volta buona che ti esprimi perfettamente. Ma ci sono sempre argomenti imbarazzanti capaci di far regredire di nuovo la tua espressione a un livello da scuola elementare. Mi fa Tom:

«Ho sentito che ci sono state elezioni in Italia poche settimane fa. Come descriveresti la situazione politica italiana dopo il voto?»

«Ehm, cioè…vedi, perché … nel senso … yunouaramin … ».

Tasti dolenti. Dopo mille discorsi contorti e paurosamente sgrammaticati, Tom ha il buon cuore di far finta di aver capito, salvandomi da quell’inumana sofferenza.

Il giorno dopo è la volta dell’attraversamento della Tarkine Rainforest, vero fulcro pluviale dell’isola, nonché uno degli ultimi rifugi dell’animale simbolo: il Diavolo della Tasmania. L’animale è quasi impossibile da vedere in natura perché rischia l’estinzione a causa del disboscamento e di una malattia infettiva che lo sta decimando.

La vegetazione ritorna fitta e l’estate straordinariamente secca ha permesso che il tortuoso sterrato si trasformasse in terra asciutta e polverosa. La vista dal parabrezza ci colpisce: il passaggio delle poche auto non aveva evitato che quella polvere si adagiasse sugli alberi circostanti tingendo tutto di bianco. Dietro la nostra macchina, non si vedeva altro che una nuvola del medesimo colore.

Arrivati proprio in mezzo alla foresta qualcuno attira la nostra attenzione. Un ragazzo seduto sul ciglio della strada con una chitarra in mano ci fa un cenno e noi, ubbidienti, ci fermiamo. Si chiama Flavian, 30 anni, francese. A prima vista sembra sporco e un po’ provato.

«Grazie del passaggio, stavo girando la foresta in bicicletta quando sono caduto e ho completamente distrutto la ruota. È un giorno e mezzo che stavo aspettando sul ciglio, meno male siete arrivati».

Ci conosciamo e facciamo amicizia. Lui di professione fa il “tree-climber” e investe i soldi che guadagna girando il mondo. Prima che rompesse la bicicletta aveva già percorso 1500 chilometri in giro per la Tasmania, e prima ancora altre migliaia in Nuova Zelanda. Era stato in Madagascar, India, Costa Rica, Caraibi e a zonzo per il Sud America prima di raggiungere l’Oceania. Quando non si spostava in bici prediligeva l’autostop, come me. Perché è gratis, perché è comodo e perché puoi conoscere personaggi come Jürgen.

Dopo altri due giorni insieme, arriviamo a Devonport sulla costa Nord e ci tocca salutare Jürgen, Otto e Tom che si imbarcano sul traghetto per tornare a Melbourne. Questa volta è proprio un addio e io detesto gli addii. Veloce e indolore, saluto tutti e li ringrazio per la compagnia.

Rimaniamo io e Flavian che decidiamo di prenderci qualche giorno di “vacanza” in un ostello. Tutti e due siamo provati e non vediamo un materasso da due settimane. Durante la permanenza entriamo in confidenza, fra una partita a scacchi e una cena condivisa. Mi parla dei suoi viaggi, del suo lavoro e della sua volontà a fine anno di partire per l’Asia sia per motivi turistici, sia per motivi spirituali. Mi parla della meditazione Vipassana, di un corso di dieci giorni che gli ha cambiato la vita. Al di là delle credenze religiose, dice che tutti lo dovremmo provare. Pure io. Gli dico che sono sempre stato interessato a imparare a meditare ma non ho mai trovato occasione. Il giorno dopo andiamo sul sito dell’organizzazione e noto con grande stupore che ci sarà un corso in Tasmania, vicino ad Hobart e che si sarebbe tenuto in meno di due settimane. Che sia arrivata la volta buona? Che sia un indizio per le prossime tappe future? Non lo so, ma la coincidenza è troppo grande per perdere quell’occasione e così prenoto subito il corso, completamente gratuito. Il giorno dopo saluto anche Flavian, il viaggio ricomincia.

Gianluca Bindi

THREE FACES

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