top of page

Chapala! - Viaggio in Messico, Atto II°

Francesca sta arrivando.

Quella sera avevamo fatto tardi, Christian ed io mangiamo fuori in un locale vicino casa mentre aspettiamo le donne. Eli sta lavorando, la mia amica è molto probabilmente persa in qualche vicolo sconosciuto con un nuovo taglio di capelli. Torniamo a casa passeggiando come fossimo per le strade di una qualsiasi città di periferia, poca gente in giro, ogni tanto qualche sirena e i soliti cani a spasso. Christian è allegro, mi racconta di come siano cambiate molte cose nella sua vita dopo Londra, dopo l'Italia, dopo la consapevolezza di provenire da una parte di mondo dove ogni piccola difficoltà quotidiana si trasforma in un disastro. Mi parla col sorriso e mi rendo conto che davvero noi femminucce del vecchio continente siamo inclini alle catastrofi, amanti degli orari e delle scadenze, spaventati dagli imprevisti, annoiati e disillusi. Assimilo tutto questo velocemente, ho già capito come funzionano le cose, mi è chiaro il fatto che noi siamo tristi e qua sono tutti abbronzati e sereni. La cosa mi sta bene, non me la prendo. Dopo una cena e qualche birra ho afferrato il concetto: abito nella parte di globo sbagliata, nel buco di culo megalomane e prepotente mentre qua ci sono le gambe, la testa e pure il famigerato ombelico del mondo, il buco che sta al centro dello stomaco, quello con tutta la ciambella intorno, con tutto quanto intorno.

La digressione sui buchi mi porta dritta al prossimo topic, imbucarci ad una festa.

Francesca mi sta facendo preoccupare, è una casinara, parla sempre ad alta voce, si rivolge alle persone come se fossero tutti suoi cugini, la adoro per i suoi modi diretti al limite del fastidio ma non so quanto un qualsiasi sconosciuto messicano possa tollerare il suo tono di voce e la gestualità esuberante. Nonostante le mie ansie Francesca arriva a bordo di un taxi, mi corre in contro, si dimentica lo zaino nel taxi, va in paranoia, si presenta al mio amico, chiede una canna, torna in paranoia, mi mostra il suo nuovo taglio di capelli, cerca lo zaino, non trova lo zaino, torna il tassista, torna lo zaino, torna la felicità, andiamo a imbucarci ad una festa.

Forse sono le tre di notte, lei è distrutta dal viaggio ma ha una carica energetica spaventosa nel senso che spaventa. Andiamo alla festa dove ovviamente beviamo tequila. Il ragazzo che ci serve da bere oramai risponde «Tequila!» per default. Realizzo che il non-luogo discoteca è lo stesso un po' ovunque, anche qua in Messico che a me pare così diverso. Gente che ci prova con gente, gente che che fa foto, gente che beve, gente che si annoia, gente che parla, gente che urla, gente vestita male, gente vestita bene, gente vestita poco. Anche qua sento un leggero restrogusto malinconico ma so che il problema è mio perchè non amo le discoteche, sono ancora Io, faccio parte della gente vestita male, che beve e che si annoia, tutto ciò mi rincuora.

Siamo vagamente ubriachi ma una volta messo piede fuori riacquistiamo subito brillantezza e sobrietà, accompagnata da una buona dose di fame. La serata è finita tra poco ci alziamo, Francesca crolla e mi chiedo se anche lei si sente lontana, se pensa al tempo, a quanto sia grande la distanza. Sta russando, probabilmente non ci pensa.

La mattina ha l'erba in bocca. Eli fa colazione a modo suo, noi ci adegiuamo mentre ripassiamo le tappe del nostro viaggio. Dobbiamo prendere un volo interno che ci porterà direttamente a Tuxtla Gutiérrez, la capitale del Chiapas, da li ci sposteremo all'interno della regione meridionale fino ad arrivare alla punta est del Messico: Yucatan e Quintana Roo. Il nostro volo parte tra due giorni e noi non vogliamo stare tra i piedi, apriamo la mappa e buttiamo il dito su una località a caso non troppo distante dall'aeroporto, Chapala. Il nome ovviamente suscita subito ilarità, decidiamo di visitare Chapala solo per questo, sperando inoltre che il nome sia di buon auspicio.

La mia Routard ci consiglia un autobus di linea che arriva al paese senza fare soste ma purtroppo la fermata si trova dall'altra pare della città quindi facciamo una cosa che anche i cani Luigi e Gaia ci sconsigliano di fare: prendiamo un taxi non autorizzato. Che tradotto significa: “saliamo in macchina di un ceffo baffo-dotato, potenziale stupratore seriale che a suo piacimento può portarci nello scantinato di un narcotrafficante il quale a sua volta può rimuoverci gli organi vitali per piazzarli sul mercato nero oppure imbottirci lo stomaco di ovuli di eroina da consegnare al boss de Los Zetas”.

Grazie a Moctezuma tutto questo non accade, il tassista non autorizzato ha l'auto che profuma di pino silvestre, la pelle più liscia delle mie chiappe e ci aiuta pure a caricare i bagagli. Arriviamo a Chapala con tutti quanti gli organi interni, adesso profumiamo anche noi di pino silvestre e nulla ci fa più paura. La città si trova sulla sponda del Lago di Chapala, il lago d'acqua dolce più grande del Messico, ha l'aspetto di una tranquilla località balneare, ci sono le palme, i gabbiani, sabbia chiara e ristoranti ad ogni angolo.

Scopriamo che Chapala è nota per aver lanciato alcune delle band Mariachi più famose del Messico, sono infatti l'attrazione del posto e li sentiamo cantare ovunque. Andiamo in spiaggia o meglio, sulla riva del lago. Tutti passeggiano sui marciapiedi lungo la costa e a noi pare strano essere le uniche con i sandali in mano e i piedi nella sabbia, che più ci allontaniamo più sembra essere melma. E' una giornata bellissima, si respira bene, l'aria è lenta ma leggera. Camminiamo a lungo, imboccando una strada in salita vediamo che il paese pian piano cambia d'aspetto. Saliamo su verso la parte alta e ci troviamo all'improvviso in un luogo completamente diverso. Le case sono fatte di qualsiasi materiale di recupero, ferro, mattoni, legno, addirittura qualcosa simile a fango essiccato. Ci troviamo in una specie di favela, un agglomerato di abitazioni precarie, sporche, storte, strambe. Ci sono auto truccate con ruote enormi, gatti e cani che dormono sui tetti, i bambini giocano in strada e ce ne sono veramente tanti, ci chiediamo come facciano a non perderli di vista.

La gente sta in casa a guardare la tv, li scorgiamo dalle porte sempre aperte oppure sono per strada a parlare, schiamazzi e fischi, alcuni ridono altri litigano. Troviamo due bambini che ci invitano a giocare a pallone, li seguiamo e ci portano in una strada soleggiata. E' tutto color mattone e il sole picchia forte. Loro sudano da morire e anche noi, il caldo ci rende simili e infatti a loro non importa chi siamo, vogliono giocare. Forse ci hanno portato nel loro piccolo quartiere, ci siamo solo noi e quello che presumiamo sia il nonno. Un uomo piccolo, con i capelli bianchissimi e la faccia paralizzata in una smorfia allegra per il sole che batte rosso in faccia. Lo salutano e forse ci presentano, siamo quelle che giocano a pallone. Dopo i calci trasandati facciamo una foto e loro se la ridono di gusto, penso che ci prendano in giro perchè siamo col fiato tagliato e siamo due ragazze, basta questo a renderci vulnerabili.

Incontriamo dei tipi baffo-dotati che ci invitano a salire in macchina con loro per arrivare alla vetta più alta della montagna, dove ci dicono si trova una piccola chiesa bianca. In effetti la riusciamo a scorgere anche da li e decliniamo l'invito, io balbetto qualcosa in spagnolo, Francesca dice no con il dito sventolando la mano a destra e a sinistra, vuol dire “manco morta che ce vengo”.

Torniamo a valle è ora di cercare un rifugio per la notte. Abbiamo una guida per le mani ma per la maggior parte del tempo la ignoreremo e l'albergo ce lo scegliamo da sole. E' colorato, blu, rosso e arancione. Costa poco, la signora in portineria è gentile e non abbiam più le forze per trascinarci dietro 20 chili di zaino ciascuna. Qua facciamo una scoperta meravigliosa: le porte delle camere non hanno chiavi ma lucchetti. La stanza oltre a noi ospita anche una vasta colonia di muffa, il copriletto è simile al rivestimento interno di una bara e in bagno alloggia anche il Signor Scarafaggio. Non ha importanza, quello che conta è la vista sul lago e da lì si vede tutta la distesa d'acqua grigia. Non vedo l'ora sia mattina per alzarmi presto, uscire in terrazza e stare in silenzio.

L'alba di Chapala. Come mi aspettavo esce un sole rosa ed esco anche io. Nella terrazza vicina ci sono due pitbull che mi guardano storti, non mi fanno paura, al contrario sono contenta di condividere l'alba con due cani e nessun'altro. Mi siedo sul muretto bianco, da li si vedono tutti gli altri tetti bianchi e le mura sotto colorate. Vedo le macchine, le moto, qualcuno che cammina, ancora i cani e i bambini in uniforme da scuola. Per strada tutto vive e respira e poi sopra i tetti solo angoli bianchi, pezzi di silenzio. In cima alle case e in cima alle cose è tutto bianco, è tutto in pace con il cielo e in tregua con la terra.

Me ne sto li a fissare i cani, il cielo e i tetti quando mi rendo contro che ormai il giorno è cominciato. Sveglio Francesca che da sola non è in grado e ci prepariamo per partire. Ci aspetta il solito tassista che profuma di pino silvestre, ce ne andiamo all'aereoporto, ce ne andiamo in Chiapas.

Benedetta Bendinelli

THREE

FACES

RECENT POSTS:
SEARCH BY TAGS:
bottom of page