top of page

From Joburg to the Cape - Emigrato in Sudafrica, atto II

La strada che attraversa tutto il Sudafrica sembra essere relativamente breve. 1.427 km: meno che andare a Madrid in macchina, cosa che io non ho mai fatto perché il Milan lo vado a vedere in aereo, ma che si può fare in giornata. Dodici ore: chiacchieri un po’, guardi fuori dal finestrino, ti alterni alla guida e, se sei proprio in buona, canti gli 883. Senza dirlo in giro, ovviamente. Sono cose che si fanno, ma non si dicono.

Poi, insomma, l’anno scorso avevamo fatto la strada parallela, con calma, e l’idea di prendere l’autostrada-tutta-dritta semplificava di parecchio. Sappiamo che tutta la N1 – la strada che ci tocca percorrere – è a singola corsia per senso di marcia, raddoppiata alternativamente per permetterti di superare i camion.

Corretto. Conto che è meglio farla diretta, che non ci vorrà molto.

Sbagliato, ma ancora non lo so. Emma punta i piedi, vuole fare una pausa. Sbuffo. Non basta. Prenotiamo una farm a metà strada. Partiamo con la macchina carica, e ci manca un documento per essere in regola. Il bollo non è ancora arrivato. Ci hanno già fermati due volte in tre giorni, e ci hanno sempre lasciati andare guardando la ricevuta del pagamento. Il primo posto di blocco è al km numero 7. Ne mancano 1.420. Passiamo. Il secondo è 15 km dopo. Mi puzza già di epopea. Palettina rossa, macchinina blu, patente, libretto e prego scenda giù. «Purtroppo non siete in regola. Dobbiamo ritirarvi la macchina». «Ma dico, ci sono 40°, ho tutto quello che possiedo in macchina, siamo in autostrada sopra a una township. Preferirei evitare di tornare a piedi» «Eh, ma sa, le regole…» «Ma mi hanno fermato ieri e ieri l’altro…» «Sa, ci sono ancora molti posti di blocco, se la faccio passare gliela ritireranno dopo» «Ok. Capito. Contrattiamo? 200 Rand?» «Facciamo 300 e la chiudiamo». Benissimo, contanti finiti ancora prima di iniziare. Il primo benzinaio è tra 50 km, e se mettono posti di blocco con questa frequenza il prossimo lo posso corrompere solo con un cd di Pavarotti. E non è detto che la prenda bene. Passiamo un altro blocco, e in autogrill c’è la coda al bancomat. La gente ritira e monta in macchina. Dentro la gente paga con la carta, i contanti li porta via. Bene, non siamo soli. Vado in bagno. I cessi a muro sono molto più bassi dei nostri. Ma gli autoctoni sono alti come noi, quindi... Ah, ok, capito. Pugno all’autostima. Da qui in poi, ovviamente, non ci fermeranno più. I “poliziotti”, dico. (il virgolettato è perché a papà la parola sbirri non piace, anche se io la trovo adattissima in ogni paese. Anche se a volte diventa sbirraglia, o…) Non ci feremanno più i “poliziotti”, dicevo. Perché, in compenso, dietro ogni curva ci saranno dei lavori.

I lavori stradali in Sudafrica funzionano così: Tu prendi la route 66, lunga e dritta per migliaia di km. Poi decidi che così è noiosa, e che in fondo la Salerno-Reggio Calabria è più caratteristica. Quindi, decidi che il paesaggio intorno è monotono, e piazzi 30 cartelli arancioni immensi distanti un metro l’uno dall’altro per indurre la gente a fermarsi. Lungo il tuo lato, un simpatico omino sventola una bandiera, verde se puoi passare, rossa se non tocca a te. In fondo, tante persone in pettorina che ti guardano e ti salutano. Poco oltre, una signora grassa sposta una barriera su una delle due corsie per permettere o impedire il passaggio alternato. Se tocca agli altri, spegni la macchina e esci sotto i 35° del Karoo, che tanto ne hai per un quarto d’ora. Se tocca a te, procedi. Mediamente, ci sono 15 persone che lavorano per fermare le macchine. Poi parti, vedi i birilli che separano la corsia che puoi percorrere da quella che non puoi, e non vedi più nessuno che lavora. Nessuno. 5 km di birilli arancioni senza uno cui venga in mente di lavorare. Infine, quando arrivi dall’altra parte, troverai altre 15 persone che fermeranno le auto che arrivano dall’altra parte. Meraviglioso. In realtà dopo la prima metà del viaggio scopriremo che la gente lavora sul serio, e verso la fine della N1 i lavori sono praticamente finiti. Il mio personale parere è che quindi i lavoratori siano partiti da Cape Town, abbiano preparato i lavori da fare per 1.400 km e poi, una volta imbastiti tutti i preparativi, siano partiti a rifare l’asfalto, da Cape Town verso Johannesburg. Tra un po’, inizieranno a rifare la strada oltre Colesberg, per gli ultimi 700 km. Ma intanto, è tutto pronto per iniziare. E per lasciarti in coda a marcire un pochetto. Lungo la N1 ci sono un fracco di camion. Quasi tutti sgarrupati. I pochi non cascanti, sono completamente cromati. Oh, intendo completamente: cerchioni, parafango, specchietti, e tutte le altre parole che non conosco, perché di mezzi con le ruote non ho mai capito nulla. La strada dritta e calda crea i tipici mirage e distorce le immagini. E' difficilissimo capire le distanze prima di un sorpasso, e le uniche macchine ben visibili sono quelle bianche e grosse, tipiche degli afrikaner. Insomma, se girare a Milano con un Qasqai bianco è una cosa tamarri, qui ti salva la vita. Bene. Mi sono appena giocato l’eredità. Il Karoo è stupendo. Monotono fino alla morte, ma quando è alba o tramonto, prende dei colori che ti levano il fiato. Ci resti, e mentre guidi dritto non fai altro che guardare tutto il resto. Brividi. Brividi veri. Quasi come un sorpasso, quasi come un camion che sbanda, quasi come venti-auto-venti, bianche, senza targa, che in fila indiana ti passano da ogni lato. Ci fermiamo a un altro autogrill. Prendiamo Billtong e la famosa ginger beer. In un negozietto lercio ce la vendono dentro una vecchia bottiglia di vodka, con il tappo chiuso male. E' ghiacciata. Questa è la vera ginger, e io che non l’ho ancora assaggiata mi lecco già i baffi. Si parte, e ci sono i soliti lavori. In tutto saranno 37, se non vado troppo a fantasia. Ci si avvicina un ragazzo con la pettorina, lo vedi che è segnato, che ha lavorato davvero, che è esausto. Non ci chiede soldi, solo qualcosa da bere. Sono 24 ore che è lì. Emma gli passa la bottiglia e lui si commuove e si mette a saltare. Io sorrido a denti stretti, ma lo odio. Profondamente. Mi consolo pensando che ho visto tanta gente felice per una birra. Mai uno per una birra allo zenzero. Emma mi guarda, legge i miei occhi e mi dice «la ginger beer è analcolica». lo guardo trionfante. Siamo pari. Lui però lo sapeva. Io no, ma lui si. Lui è felice per una birra analcolica. Abbasso il finestrino e gli regalo tutto il Billtong. Se le cose stanno così, se lo merita. Ha vinto lui. La notte nel mezzo ci fermiamo in una farm super afrikaner. Si mangiano cose cucinate qui. Si mangia tanto. Ma appena infilato in pancia, esplode tutto. Si gonfia, si allarga, esplodiamo. Arriviamo a letto con le lacrime agli occhi, salutando gentilmente il co-chef incinto. Ha una pancia molle che straborda la cintura e sfiora le ginocchia. Al mattino beviamo caffè, gli occhi segnati da un trattore e la pancia ribaltata. Lui porta uova e bacon, io inorridisco. Non mi era mai successo, ma oggi non ce la faccio. Bevo due caffè, poi chiedo pietà. Non ci fa pagare la colazione, dice che non l’abbiamo fatta. Ci sfotte dicendo che si vede che non mangiamo nulla e sorride. Io, il mangione di famiglia. Il mio orgoglio viene massacrato, per la seconda volta in due giorni. Prima il cesso, poi la pancia. Qui sono un pigmeo. Si riparte, sfiorando Township, campi di girasoli e di pannelli solari, colori. Dio, che colori. Intorno talpe giganti hanno costruito le colline, mentre in fondo papà talpa ha fatto le montagne. Questo è ciò che si dice qui. Questo è vero. Colline basse e smussate, montagne lunghe e piatte. Quando entriamo nel Western Cape, cambia tutto. Tra due montagne si sbuca nell’Hex River Valley, la valle incantata, quella da cui i pionieri, una volta scoperta, non tornavano più indietro. Cambia tutto. E' verde, florido, c’è acqua. Ma fa ancora più caldo. Penso a Piedino. Uh, mamma, Piedino. Sfido a vedere chi ancora se lo ricorda. Poi, finalmente, Cape Town. Ma questa è un’altra storia.

...to be continued

Tomaso Aroldi THREE FACES

RECENT POSTS:
SEARCH BY TAGS:
bottom of page