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Il Mondo Nuovo - Erasmus in Portogallo & Spagna - Lisboa/Sevilla Connection, Atto II

Ci inoltriamo nella giungla di suoni che pervadono l'etere. Avverto distorsioni sonore nel mio campo visivo, flash umani e visi sorridenti con gli occhi chiusi, facce amiche, corpi che si sfiorano a tempo, cercando di prevedere il prossimo beat saltellando ritmici sulla punta dei piedi, a polpacci e nervi tesi.

Respiro profondamente. Tutto arriva ai miei sensi ovattato, come se il tempo stesse rallentando. Ogni suono, colore, percezione e pensiero mi distrae da quello precedente in un susseguirsi di input frenetici, una cascata di sinestesie che mi deformano dall'interno e mi fondono con tutto il resto. Sorrido mentre abbandono il mio corpo alla danza, senza dar troppa importanza ai movimenti o ai passi che mi faccio fare. L'importante, adesso, mi sembra battere i piedi a tempo con gli altri, partecipare a questo folle, dionisiaco e apparentemente insensato rito colletivo tecnologico, figlio ribelle e ineducabile d'una società vuota e insensibile; evadere, uscire fuori: almeno per una notte, una settimana, la durata di un festival. O magari tutta la vita?

Migriamo di sound in sound alla ricerca della consolle dove dovrebbe prendere posto Simo, ci addentriamo in questo folle mondo alternativo, fatto di luci laser, suoni violenti, usi, abusi e consumi. Ci sono baracchini che vendono cibi buonissimi, oggetti di artigianato davvero ben fatti, casse e sound autoprodotti dalle crew che partecipano al Dragoon. Mi sorprendo a scorgere nella miriade di scoppiati e punkabbestia più di una famigliola con bambini, nonostante l'ora tarda, che ballano davanti alle proprie case mobili, camper e furgoni modificati e rielaborati in maniera fantastica.

È forse la prima volta che entro in contatto con questa realtà in maniera tanto profonda: sono già stato a qualche rave, ma è qui che mi rendo conto della presenza di un'entità particolare, una tribù globale che sceglie di vivere la propria alternativa fuori dagli schemi preposti, che si sposta di festa in festa, di lavoro stagionale in lavoro stagionale, scegliendo di non avere fissa dimora e lavoro assicurato. In qualche modo rimango affascinato da questi gitani teknologici. Penso alla mia vita, al fatto che questo è uno dei primi viaggi che faccio: sono partito all'avventura da Lisbona stamattina e ora sono qui, con i miei amici di Firenze, nel bel mezzo della campagna andalusa, lontano da casa, dall'Italia, con pochi soldi in tasca, e solo adesso sembra che stia cominciando a mettere a fuoco la mia situazione, realizzando davvero dove sia, cosa stia facendo.

Comincio a sentire qualcosa smuoversi nelle viscere, la paranoia è dietro l'angolo. «Cazzo di idee mi vengono? Perchè non son rimasto a Lisbona?»

La vocina. Quella che ti blocca, quella che vuole farti stare tranquillo sui binari, che ti dice che no, non ce la farai.

Respiro, ma la stronza non si ferma, insiste. «Sempre a strafare, devi sempre esagerare». A questo punto mi guardo intorno: a me sembra sia il mondo a esagerare, anche con la severità e i giudizi che si possono avere su un evento come questo.

Respiro ancora, e questa volta riesco a vedere la cosa da un'altra prospettiva, un altro punto di vista: ripenso a Spanish Caravan, mi chiedo se James Douglas Morrison sia passato per questo uliveto diretto alle vicine terme, se questa apparenza di sfattanza e degrado non sia in realtà il poetico e folle grido di disperazione di una generazione a cui è stato promesso un glorioso futuro all'ombra di Wall Street, a cui invece è stato poi proposto un inganno studiato a tavolino, fatto di frontiere libere per le merci e chiuse per le persone, precarietà, censure, dittature, egemonie economiche e violenze mediatiche. Ma quello che più mi spaventa è l'impersonalità che hanno raggiunto i rapporti personali, l'asettica forma che si sostituisce alla pura sostanza.

D'improvviso son di nuovo felice di essere lì, Simo mi raggiunge. L'avevo visto andar via poco prima mentre si allontanava dal sound bestemmiando parole che non potevo sentire a causa del volume della musica.

Adesso invece ha un bel sorriso sghembo da guascone stampato in faccia: «Allora bruciatura?! Che ci fai tutto solo sotto cassa?! Jump 'da fuck'up

«Mah, nulla, qualche pensiero di troppo, al solito».

Ridacchio mentre istintivamente ricomincio a ballare.

«Tu piuttosto? Non dovevi essere là dietro?!»

«Lascia stare, per favore. Poi ti spiego. Adesso godiamoci la festa.»

Siamo di nuovo insieme, tutti, partecipando singolarmente a una collettività variopinta ed eterogenea, fusa momentaneamente in un solo organismo gigantesco. Sorrisi chimici, sudori acidi, la musica che penetra le carni, che batte assieme al cuore e ti fa sentire vivo.

Ladies and gentlemen, welcome to the sonic recreation of the end of the world”. Il rave.

Ci abbracciamo con Simo e Ale, ci abbracciamo tra sconosciuti e sentiamo amore profondo l'uno per l'altro. So che alcune emozioni domattina spariranno, ma quelle che contano ne usciranno rafforzate. Guardo i miei amici e sono felice di aver creato dei legami cosi forti con persone del genere. Sorrido, e decido che è arrivato il momento di una passeggiata in solitaria. Voglio vedere quanto è grande il rave e se in qualche modo riesco ad arrivare alle terme, che m'immagino in stile Saturnia, o Petriolo. Un bagnetto mica ci starebbe male per concludere la serata.

Mi allontano dal sound bofonchiando un «Vado a fare un giro» a qualcuno, m'inoltro nella massa umana danzante, schivo spallate e incasso colpi. Ma è bello, mi piace sentire questo contatto con le altre persone. Facendomi largo riesco in qualche modo ad arrivare in un'arteria perfierica della festa, dove posso anche avere una conversazione nel mio portuñol stentato. Chiedo informazioni sulla zona, e se sanno indicarmi la direzione per raggiungere le terme.

Mi muovo sotto un cielo stellato e una luna piena da paura, mi sento una sola cosa con me stesso adesso: la vocina è scomparsa, e con lei i pensieri negativi. Adesso voglio un bagno termale caldo, per ristorare le membra e aspettare il sole. Ho voglia di correre come una bestia selvaggia, liberarmi “della pena d'essere uomo”, ma continuo a camminare.

Sono tra le colline, mi muovo con estrema calma col capo rivolto verso l'alto; da lontano, alle mie spalle, sento ancora risuonare la musica della festa, sparata dalle casse a tutto volume.

Mi volto a guardare il mostro da lontano: il festival continua spargendo le sue luci e i suoi suoni nel buio della notte, proprio come un drago sputafuoco.

“Nei ritmi ossessivi la chiave dei riti tribali, regni di sciamani e suonatori zingari ribelli” che da tutta Europa si son dati appuntamento qui, e ancora per una settimana buona andranno avanti con i festeggiamenti e le celebrazioni del Dragoon 2011.

In lontananza scorgo delle ombre. Quando le raggiungo chiedo «Las termas por aqui?»

Sono incerti. Non sanno bene. Mi spiegano che sono arrivati in un posto pieno di fanghi caldi, e quelle sembrano essere le terme.

La faccenda m'incuriosisce e decido d'andare a dare un'occhiata. Li saluto e prooseguo il cammino. Magari non le han trovate, penso tra me e me.

Le prime luci dell'alba cominciano a colorare l'orizzonte notturno in sfumature di rosa, giallo e arancione.

Continuo a camminare e vedo del fumo alzarsi nell'aria mentre comincia a schiarire e credo di essere ormai prossimo a raggiungere la mia destinazione, quando all'impovviso i miei piedi vengono stretti in un morsa che mi rende molto faticoso proseguire. Provo a muovere qualche passo maledicendo la mia curiosità, ma affondo sempre più nel fango ad ogni movimento. Belle terme del cazzo, penso.

In lontananza dei ragazzi e delle ragazze ridono mentre si rotolano nel fango, nudi. Li guardo e rido anche io, mentre in qualche modo mi tolgo fuori dalle sabbie mobili. Scuoto i piedi per far cadere un po' di fango, ma non è che la situazione cambi molto.

Mi godo ancora un po' la scena di quei ragazzi, sorridendo, e, dopo averne rollata una, mi rimetto in cammino, sfumacchiando felice.

I pensieri scivolano fino a Lisbona, che ormai è il luogo in cui vivo da sei mesi. Mentre mi si stampa un leggero sorriso sul volto penso a come sia cambiata la mia vita in questo breve periodo di tempo: l'aver imparato una lingua nuova, il fatto d'essermi messo alla prova e d'esssere riuscito a vivere in una città straniera, il fatto di trovarmi ora in mezzo alla campagna andalusa, mi fa stare bene, mi fa sentire sicuro e vivo. Le esperienze per cui son passato, quelle che mi hanno ferito e segnato, mi han portato fin qua, a chiudere un ciclo per aprirne un altro.

Mentre albeggia rimango sorpreso quando mi scopro a pensare a lei, con cui ho passato la notte prima di partire per raggiungere il Dragoon. Ripenso a quel gioco innocente e agli sguardi che ci siamo scambiati. Qualcosa mi si smuove nello stomaco e mi sento un po' più leggero. Una sensazione che non sento da un po' e che, dopo qualche delusione, pensavo non avrei sentito più.

Chissà se in qualche modo lei sente che sto pensando a lei, se anche lei mi sta cercando guardando il cielo; vorrei poter inviarle il mio pensiero, vorrei abbracciarla un attimo, uno solo, ma sarò costretto a tornare da questo viaggio per poter realizzzare questa volontà. Ma non ho fretta, prima voglio esplorarmi un po' di Andalusia, vedere per bene Granada e il Sacro Monte, vivermi qualche giorno di Sevilla.

Mentre son preso da questi pensieri, il sole si è fatto alto, e sono costretto a inforcare gli occhiali scuri per sopportare la luce, anche se la sensazione del calore sulla pelle è molto piacevole. Mi spoglio e rimango a torso nudo, butto tutta la roba nello zaino e prendo in mano il bonghetto. C'è ancora gente che balla, ma il grosso dei ravers è sparito nei furgoni e nelle tende. In lontananza vedo gli altri, li raggiungo di corsa e ci abbracciamo.

«Serata pazzesca, eh?»

Sorridiamo felici.

«Bonghetto e poi si parte? A noi toccherà fare anche una ventina di km a piedi... sei pronto Ale?»

Io e il mio amico sardo ci guardiamo. Lo sapevamo da ieri che ci sarebbe toccata, ma ancora confidiamo in qualche buona anima che ci dia un passaggio. La macchina dei nostri amici è piena.

Scendiamo in paese e beviamo un caffè, forse il peggiore della mia vita. Ci raccontiamo le diverse esperienze della notte appena trascorsa. I nostri amici si preparano per tornare verso Sevilla.

Io e Ale decidiamo di fermarci ancora qualche giorno a Granada da Vince, ma promettiamo a Simo e Tiziana che durante il fine settimana saremo da loro, sulla riva del Guadalquivir.

Ottimo. Ci salutiamo e ci diamo appuntamento per qualche giorno dopo.

A quel punto, ci incamminiamo sulla superstrada, alzando il pollice di tanto in tanto, senza ottenere alcun tipo di risultato. Nessuno si ferma. Il primo cartello che vediamo ci spaventa: Granada 23 km.

«Cazzo Andre, mi sa che qua nessuno ci carica, ci tocca camminare...».

Ce la ridacchiamo e aumentiamo il passo.

«Allora forza, che ho sonno e voglio collassare a casa di Vince...».

Il sole è alto. Un altro giorno ci ha sorpreso ancora svegli ad aspettarlo. Il viaggio è appena cominciato. Quello che ho capito oggi è che devo smetterla di preoccuparmi.

Andrea Federigi

THREE FACES

Preambolo Andrea: Leggi l'Atto I

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