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Viaggi d'altro tipo - Speculazione Edilizia: dall’abbandono al riuso

Quando la crescita economica chiama, la macchina risponde. E si rende necessario trasformare ciò che un tempo era natura (una sorgente d'acqua o il suolo su cui poggiamo i piedi), in una merce; ciò che un tempo erano relazioni familiari o di comunità, mutano in un servizio economico da poi rivendere ai consumatori (la cura degli anziani o le attività per i bambini). Questo, più o meno, il modo con cui il capitalismo ha funzionato fino ad oggi.

In Italia, però, oggi il capitalismo è zoppo, la crescita non c’è più, la domanda crolla e la disoccupazione aumenta, e noi rimaniamo a bocca asciutta e con una eredità piuttosto gravosa: circa 2 miliardi di metri cubi di volumi industriali inutilizzati, e 10 milioni di stanze vuote, cioè gli scheletri di quei beni immobili che un tempo rappresentavano i motori della ruggente economia del dopoguerra italiano.

Dalla Val di Susa a Messina non c’è angolo di Italia che non stia cercando di creare da queste macerie un nuovo vocabolario sul tema dei beni comuni, fermando il consumo di suolo, e promuovendo il recupero delle proprietà abbandonate, e lasciate all’incuria.

A Pisa il Municipio dei Beni Comuni, nato dal progetto Rebeldia, lavora in questo senso da più di dieci anni, proponendo un’idea alternativa di società, e di rapporti tra le persone all’interno del tessuto comunitario cittadino.

Il 28 maggio il Municipio ha organizzato una conferenza al Polo Porta Nuova dal titolo: “Dall’Abbandono al Riuso. Il riuso temporaneo di immobili abbandonati contro la speculazione edilizia e il consumo di suolo”, invitando come oratori Alberto Ziparo, ingegnere urbanista, Luca Di Figlia, dottorando Unifi esperto di rivitalizzazione di paesi abbandonati, e Valentina Rizzo, portavoce dell’associazione Planimetrie Culturali di Bologna.

I dati che emergono dal convegno sono agghiaccianti: nel mondo si è costruito 5 volte di più negli ultimi settanta anni, che dal tempo delle palafitte alla seconda guerra mondiale; in Occidente questo numero sale a 7, in Europa a 9, in Italia a 10, e in alcune regioni del Sud Italia si arriva addirittura a 13. In Italia la realizzazione di certe infrastrutture ha dimostrato negli anni la completa sottomissione della politica alle lobbies del mattone, a partire dalle grandi opere come il TAV.

Queste infrastrutture sono diventate sottostrutture, opere faraoniche che non incontravano nessuna domanda sociale nel paese. Ci siamo ritrovati ad avere il più alto patrimonio infrastrutturale ferroviario per abitante nel mondo, e il cemento che oggi soffoca circa il 20% del nostro territorio nazionale; questo non rappresenta solo un problema ambientale e paesaggistico, ma anche un rischio sociale, visto che parte degli introiti derivanti dall’edilizia finiscono nelle mani della criminalità organizzata.

L’esigenza è quella di fermare il consumo di suolo, e di dare un taglio ai cicli speculativi che governano il mercato edilizio.

Ma non solo. Abbiamo già un patrimonio immenso completamente inutilizzato, che dobbiamo recuperare e rendere disponibile per la popolazione. La disoccupazione che aumenta è lo spunto perfetto per consegnare questi spazi a persone che vogliono sviluppare le proprie capacità, e alle mille e più associazioni che non hanno la possibilità di avere uno spazio proprio dove svolgere le attività.

Contro l’ottica dell’interesse privato da inseguire ad ogni costo, si potrebbero fomentare pratiche virtuose dal basso, e così ricostruire un tessuto sociale che in molte città si sta perdendo. I benefici potenziali per la popolazione sono evidenti, e giuristi come Rodotà e Maddalena, ma anche urbanisti, storici e scrittori, se ne sono accorti da tempo, e hanno provato a costruire un discorso politico in questa direzione; la gente, attraverso associazioni come Planimetrie Culturali e Municipio dei Beni Comuni, risponde entusiasta.

Ma la politica come sempre ritarda, e non poco, e anzi ostacola questo processo (si veda l’articolo 5 del Piano Casa appena approvato, o la celerità con cui il comune di Pisa ha ultimato le pratiche per la costruzione dell’Ikea poco fuori città).

Esempi di buon governo dal basso già esistono in tutto il mondo: dalle Transition Towns inglesi, alle comunità agricole brasiliane dei Sem Terra, fino ai movimenti zapatisti del Chiapas.

Basta capire che la rigenerazione della società italiana passa dalla rivitalizzazione dei territori, e dal riutilizzo degli spazi abbandonati, in un’ottica di benessere nazionale e non di profitto aziendale o di PIL.

Fernando Pellegrini

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