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È così semplice che sembra difficile - Viaggio in Tasmania, Atto VI°

Dopo una mattinata di passaggi raggiungo Mole Creek, un piccolo paesino sede delle informazioni turistiche e meteorologiche del vicino parco nazionale di Walls of Jerusalem.

Il cielo è coperto e non fa per niente caldo neanche ad altitudine zero. Mi dicono che in questo momento lassù sta nevicando, e pure nei prossimi giorni. Ci vuole un cambio di programma. Con una decisione alquanto estemporanea decido di dirigermi ad est. C’è la famosa e stupenda Bay of Fires che devo assolutamente vedere sulla costa attorno St.Helens. Col passare delle ore il tempo si incupisce. Un uomo anziano con evidenti problemi di sovrappeso e di sordità riesce a farmi raggiungere Lebrina, un insignificante paesino dimenticato dal mondo dove l’unico, minuscolo locale fa da bar, edicola, ufficio postale, generi alimentari. Inizia a piovere e poco dopo a diluviare. Entro nel minuscolo locale per ripararmi dal freddo e per aspettare che passi la bussata d’acqua. Ci siamo soltanto io e un uomo di mezza età dietro il bancone. Mangio qualcosa, prendo una sedia e mi metto davanti la tv a guardare le qualifiche della Formula 1 - saranno stati anni che non le vedevo -, mentre scambiamo due parole. Guarda caso era il Gran Premio d’Australia. Alle 5 l’omino deve chiudere e sono costretto ad uscire. Non c’è alcuno spazio riparato o modo possibile di dormire là attorno e per forza di cose devo assolutamente far sì che una macchina si fermi e mi conduca verso più floridi lidi.

Dopo due ore e mezzo, imbacuccato nell’impermeabile sotto una pioggia leggera ma persistente, riesco a fare pena a qualcuno. Mi lasciano in un altro posto abbandonato a sé stesso chiamato Scottsdale, ma almeno qua c’è un parco pubblico con un’area di sosta al coperto. Consumo il pasto frugale per eccellenza a base di quello che mi è rimasto nello zaino, ossia piadine, pomodori, funghi e formaggio. Dopodiché cominciano gli studi di ingegneria edile comparata per trovare il modo di sistemare la tenda sul cemento e senza picchetti, ispirati dal motto “Meglio dormire sul duro che sull’umido”. Non so come, riesco a legare i tiranti allungati con lo spago, uno al tavolino e l’altro a un palo di legno, puntellando gli angoli interni della tenda con dei sassi di media grandezza. Molto scomodo comunque, ma d’altronde o così o così.

La mattina dopo mi sveglio indolenzito dal freddo e dalla durezza del pavimento, ma con un bel sole, un bell’arcobaleno e la fiera consapevolezza di essermela saputa cavare in una situazione difficile. Con la gentile corsa offerta da due ragazze, attraverso col loro furgone la campagna inondata di sole, i pascoli, i verdi saliscendi solcati da corsi d’acqua trasparenti: la via che porta al mare. Dopo un paio d’ore superiamo St.Helens, e ci salutiamo a Binalong Bay, il paesino al punto più a Sud dove iniziano i quattordici chilometri di baie che compongono geograficamente Bay of Fires. Alle 11 di mattina, col sole quasi a picco e senza una nuvola in cielo, lo spettacolo che mi si para davanti è veramente notevole. Ho una gran voglia di buttarmi in mare, ma prima voglio organizzarmi per la notte in anticipo - non si sa mai -. Chiedo se ci sono campeggi o posti dove accamparsi liberamente nelle vicinanze alle prime persone che mi passano vicino. Mi danno delle indicazioni molto vaghe mentre si consultano. Spiego loro del mio viaggio e, non senza grasse risate, della mia odissea il giorno prima. Ci stiamo quasi per salutare. Quando lui mi dice:

«Ma perché non vieni ospite qualche giorno da noi? Qui abbiamo la nostra casa vacanze, e mia moglie e mio figlio tornano a Launceston stasera. Io devo rimanere qua per lavoro. Oggi ti godi questo splendido mare, poi torni guardiamo il Gran Premio, ci facciamo due birre, mangiamo e mi racconti del tuo viaggio. Che ne dici?».

Così ho conosciuto Brett e sua moglie, due persone straordinarie. Sono stato a casa loro tre notti. I giorni li ho passati tutti al mare, facendo il bagno in ogni singola baia della regione, mentre lui costruiva case, lavorava, faticava. Ciononostante non mi sono mai sentito un peso, non mi sono mai sentito in imbarazzo quando mi offriva la cena oppure la mattina, quando lui di buon ora era già uscito, mi faceva trovare un biglietto con scritto “Fa come se fossi a casa tua, prendi quello che vuoi per colazione”. Quelle mattine lì sono stato solo in casa di estranei, e non mi sono mai sentito così ripagato dalla fiducia di qualcuno. Io mi sono fidato di lui, lui si è fidato di me. È davvero così semplice che il più delle volte sembra complicato. Ma forse qua è un altro mondo. Faccio per uscire di casa e mi accorgo che essendo l’ultimo a farlo non posso chiudere a chiave la porta a scorrimento principale. Tutto allarmato, telefono subito a Brett e gli parlo del problema che si è creato.

«Lascia aperto, qua non si chiude quasi mai, non ce n’è bisogno».

Non ho il coraggio di pensare cosa succederebbe se facessi in questo modo a casa mia, in Italia.

La mattina dopo ci siamo salutati. Brett mi dà il suo biglietto da visita e si raccomanda - Se c’è qualcosa, se hai bisogno, se sei in difficoltà non esitare a chiamare -. Ritorno sulla strada per vedere se è la volta buona per il Walls of Jerusalem. Dopo due passaggi vengo fatto salire in una macchina che sta trainando un caravan. Su di essa una bella e innamorata coppia di quasi ottantenni in giro per l’isola. Sono Iris e Graham e vengono da Brisbane, che si trova qualche migliaio di chilometri più a Nord sulla costa orientale australiana. Chiedo come abbiano vissuto la devastante alluvione del Queensland meridionale risalente ad appena due mesi prima. Per quanto riguarda la loro casa, tutto a posto anche se loro tecnicamente non erano là quando è successo. Hanno vissuto due anni in barca in Europa, soprattutto in Francia. Ah ecco, precisano, Graham è un costruttore di barche in pensione. In che senso costruttore? Nel senso che le ha fatte tutte a mano, inclusa quella della fuga amorosa francese. Comunque sono tornati a Brisbane tre settimane fa e sono subito ripartiti per un viaggio on the road in Tasmania. Mi fanno una proposta: invece di portarmi subito a Walls of Jerusalem mi vorrebbero volentieri con loro a visitare il nord dell’isola per poi lasciarmi a Mole Creek dopo qualche giorno. In fondo sono persone divertenti e quindi accetto.

Dopo aver visitato Launceston, Beauty Point, Sheffield, Deloraine e fatto molta amicizia, mi accompagnano allo stesso centro dell’altra volta solo per sentirmi ripetere le stesse brutte notizie dal punto di vista meteorologico. Decido che è un segno e rinuncio. Intanto la perturbazione dalle montagne si sposta sulla piana e diventa tempesta. Iris e Graham decidono di prendermi con loro altri due giorni per non farmi passare le pene dell’inferno sotto un’acqua assurda.

Quella notte sono quasi affogato in tenda dalla pioggia che è caduta, così la sera dopo hanno deciso di farmi dormire in macchina. Meno male, perché mentre mangiavamo la tempesta si fece così forte che il caravan dondolava con noi dentro, che quasi non riuscivamo a sentire le nostre voci dal rumore violentissimo della pioggia della grandine. Ci salutammo la mattina dopo con un bel sole splendente sulla riviera di Devonport. Li avrei ritrovati circa sei mesi dopo, passando per Brisbane.

A quel punto stavo tornando ad Hobart: un paio di giorni dopo sarebbe iniziato il tanto decantato corso di meditazione.

Gianluca Bindi

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