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«Biglietti, prego. » - Vita da pendolare

Ci sono tantissimi tipi di viaggio. Il viaggio d’avventura, quello on the road, il viaggio-vacanza e molti altri ancora. Tutti comportano un certo grado di difficoltà, d’impegno e, in alcuni casi, anche di rischio. Ma nessuna di queste tipologie è neanche lontanamente paragonabile alla più dura ed estenuante esperienza di viaggio: quella del pendolare. Potete aver girato il mondo in monopattino, o aver attraversato un oceano con un materassino, non sarete nemmeno vicini alle sofferenze che un pendolare medio deve sopportare ogni giorno. Lo dico perché c’ho provato. E fallito, ogni singola volta che ho tentato d’intraprendere questa vita. Più di una volta ho sfidato l’alba per dirigermi alla stazione, correndo in macchina come un folle per recuperare l’inevitabile ritardo, per compiere l’epica traversata Montecatini-Firenze. Ma, puntuale come non lo sono mai stati i treni, arrivava la mattina che, dal letto, col cazzo che mi ci alzavo. Tutto questo ha contribuito, fra le altre cose, a una stentata carriera universitaria e al periodo più riposante della mia vita. Non avevo le giuste motivazioni. E per fare il pendolare ne servono parecchie. Ogni mattina, infatti, si ripete la guerra senza quartiere per strappare un posto a sedere nella eterogenea e sgomitante moltitudine di persone che affolla l’apertura delle porte del vagone. Nel 99% dei casi perdevo malamente questa guerra, passando la mia bella oretta più ritardi in piedi. C’era gente troppo combattiva ed esperta per i miei standard mattutini. Grazie alla calca, però, potevo liberamente addormentarmi in questa posizione senza rischiare di cadere. Ma anche quando negli statisticamente irrilevanti casi in cui riuscivo a trovare posto a sedere, non necessariamente il viaggio si sarebbe rivelato migliore. Ovviamente la ressa e il casino non permettevano di ragionare con la giusta calma, quindi dovevi agire d’istinto per accaparrarti i posti più agognati. Nel mio caso, sociopatico consumato, erano i rarissimi posti singoli che rappresentavano un miraggio di tranquillità e riposo. In cinque anni di università mi ci sono seduto solo una volta. Ricordo ancora quel giorno con un pizzico di nostalgia. Non rimaneva che provare a scattare verso i posti a coppia, dimezzando la possibilità di compagni di viaggio ciarlieri o rumorosi, ma l’esitazione per cercare il posto perfetto ti aveva già bruciato anche questa alternativa. Non restava che puntare ai rischiosissimi posti a quattro. Considerando che i treni che percorrono la tratta Viareggio-Firenze sono quasi tutti dei residuati di anni ormai lontani, questi posti erano stati calcolati su un’altezza media della popolazione non superiore al metro e sessanta, costringendo i passeggeri ad un inevitabile quanto imbarazzate tête-à-tête. Dall’alto del mio metro e ottantaquattro-quasi-ottantacinque, questi posti rappresentano un incubo di incroci di gambe, cosce e piedi e una certezza di scomodità. Bisognava scegliere il male minore quindi, come quando si va a votare. Per prima cosa dovevo evitare persone di stazza uguale o superiore alla mia, per evitare di passare un viaggio da surrogato di pezzetto del Tetris. Altra categoria da evitare con cura era quella degli studenti delle superiori, dotati di una vitalità a me sconosciuta a qualsiasi età.

Grazie a queste esperienze e ai miei riflessi allenati, riuscivo quasi sempre a sedermi in mezzo a dei ragazzini obesi che, oltre a occupare il mio scompartimento, avevano amici in tutto il vagone con cui chiacchierare continuamente, intervallando le conversazioni con musica sparata dai tablet o dai cellulari, naturalmente touch. Impossibile batterli, se non con un dispiego di forze insostenibile alle sette di mattina. Le contromisure in genere si limitavano ad un poco credibile sguardo minaccioso, che al massimo intimoriva i membri più deboli e magri del branco.

Ma quella degli studenti non è l’unica gang che limita la tua possibilità di sederti liberamente nei malfamati vagoni made in Trenitalia. Infatti, come in tutti i sistemi sociali, anche sul treno si formano bande di pendolari che si associano per ottenere i maggiori benefici, in questo caso i posti migliori. È molto frequente imbattersi in gruppi di impiegati lucchesi che presidiano interi scompartimenti per i loro colleghi che saliranno più avanti. Mai cercare di invadere questi territori, pena l’ulteriore perdita di tempo nella folle corsa al posto. Chiaramente tutte le bande sono in lotta fra loro, ma sono unite da un odio comune verso lo straniero del treno: te.

Ma non c’è niente di peggio che trovare posto davanti a una bella ragazza. Ebbene si, quello che speri ogni volta che sali su di un treno, sarà la peggiore cosa che ti possa capitare. Per prima cosa verranno annullate tutte le cose che ti eri riproposto di fare: dormire. Per seconda cosa ti scervellerai per tutto il tempo su come far colpo sulla compagna di viaggio, il più bel paesaggio.

Se sei fortunato, la bella in questione, ancor prima di incrociare il tuo sguardo languido e complice – espressione a metà strada fra l’ictus e l’overdose -, sarà già al telefono a parlare con l’amica di turno di quanto sia stata incredibile la notte precedente e di come abbia improvvisamente cambiato idea riguardo all’amore a prima vista. Volente o nolente, nella tua brava oretta di treno, saprai vita morte e miracoli della ragazza che, per una frazione di secondo, hai visto come la madre dei tuoi figli. Altra variante molto gettonata di telefonata, è quella che rivela una voce estremamente fastidiosa e una stupidità degnamente sopra la media. Non sai come sarà, ma la madre dei tuoi figli non parlerà assolutamente così. Spesso a questa tipologia di voce si accompagna una conversazione che farebbe imbarazzare gli sceneggiatori di Beautiful, lasciandoti a metà strada fra il vaffanculo e la voglia di saperne di più.

Caso ancora più fortunato: la bella non prenderà in mano l’odiato cellulare, ma un libro. Il ché, nel tuo ideale da intellettuale da quattro soldi, la portarà a scalare vette di desiderabilità inarrivabile. In quel preciso momento ti renderai conto che stai leggendo un fumetto, cosa che ti spingerà proporzionalmente all’opposto della sua scala di desiderabilità. Se sei abbastanza veloce, riuscirai a lanciare l’amato fumetto (che dio mi perdoni) fuori dal finestrino o in un luogo invisibile alla sua vista. Se il tuo aspetto non la sconvolge in un primo momento, cosa che la spingerebbe a non alzare lo sguardo neanche per vedere se siamo arrivati alla sua fermata, inizierà una tortura di sguardi e sorrisetti che porterà a un’immancabile due di picche. Infatti, quando troverai il coraggio di attaccare bottone, succederà, sicuro come la messa, una delle seguenti cose.

Uno. Appena stai per aprire bocca la ragazza si affretterà ad avviarsi alle porte perché la sua fermata è in arrivo. Immaginandole un sorriso che non ti ha fatto, ma che le hai deciso, se Brassens mi passa la parafrasi.

Due. La fermata è la solita, stai già scavando nel tuo striminzito repertorio di frasi d’abbordaggio, ma quando scenderete lei salterà in collo al suo ragazzo, che magicamente ha imbroccato anche dove si sarebbero aperte le porte del vagone.

Tre. Al momento fatidico, o la va o la spacca, la tua voce verrà superata da un’altra che, incolore, affermerà : «Biglietti, prego».

Prendo in prestito le parole di una canzone dei Gatti Mézzi, Sur Purma’, per mostrare un esempio di conversazione media che potrebbe scaturire. Perdonate il pisano.

Monta ‘r controllore, secco, scavato. Tarmente secco, sta ritto per ir contrasto de’ venti. «Billietto» «Un ce l’ho» dio io «Murta» «Seeeeeeeeeeeee» ‘ni dio ironio «Seeeee? Vieni puppasedani, ti faccio la murta e la paghi!» E sicché ‘r controllore si ‘omincia a agità. Un vecchino da dietro comincia a fa’ de’ segni. «Vell’omo? Senta ‘ne la dio io ‘na ‘osa: lo lasci sta’ quer bimbo. Le ‘ose ner mondo, bisogna vedé’ da dove le guardi.» «O cosa vòle di?» Stronfia ‘r controllore. «Voglio di’ che magari ‘r bimbo un c’ha ‘r billietto, ma lei lo sa quanto ‘osta piglià’ ‘r purma’? Lo sa lei che ‘r purma’ è fisso ‘n ritardo? Lo sa lei perché ‘r mare è salato, me lo dia giù!» «So’ assai, perché? » «Perché c’è l’acciughe!!!»”.

Ciao bella di turno, ciao controllore, ciao pendolari. Non sarò mai uno di voi.

Niccolò D'Innocenti

THREE FACES

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