top of page

Il troppo stroppia - Fuorisede a Firenze, Atto II

Firenze è una città splendida. Possiede gran parte del patrimonio artistico-culturale mondiale, che qualcuno ha paragonato, quantitativamente, a quello posseduto dall'intero continente americano. Bevendo un caffè al bar delle Oblate puoi sorprendere la cupola del Duomo ad osservarti, dall'alto della sua austerità; perdersi per le stradine del centro a Firenze vuol dire cadere in una meravigliosa trappola di monumenti, statue e affreschi. Il fermento culturale è alle stelle. Convegni di ogni genere, mostre, spettacoli teatrali, concerti di musica classica, seminari, conferenze. Basta una breve passeggiata nel centro storico per capire lo spessore di questa città, tappezzata di flyers e disegni. Siamo agli inizi di settembre e Firenze straripa di eventi. Le piazze si animano, le mostre fotografiche, contagiose, popolano la città; spettacoli e lirica fanno riempire i teatri; tornano i cineforum, i dibattiti, i festival culturali. Ogni tanto, tornando a casa da lavoro, potete imbattervi in una poesia affissa sulla parete dell'università, in un sottopassaggio, o alla stazione. Apparentemente, Firenze sembra la città perfetta. Quando sono arrivata qui in pianta stabile, circa due anni e mezzo fa, ignoravo che si sarebbe potuto rivelare - come dire? - infetta. C'è un problema fondamentale che condiziona la città e i suoi abitanti, un problema che la città di Firenze conosce da secoli e che, probabilmente, non può smettere di avere. Il turismo. Il turismo fiorentino è qualcosa di più, del semplice turismo. E il termine “infezione” mi pare particolarmente adatto.

Quello di Firenze è un turismo soffocante, invadente, che impedisce di prendere una reale confidenza con le strade del centro storico, che sembrano sempre appartenere a qualcun altro. Soprattutto di giorno, quando masse di macchine fotografiche e Giapponesi guidati da un ombrello teso interrompono il tuo cammino, costringendoti ad avanzare a gomitate; soprattutto di notte, quando innumerevoli Americani poco abituati all'alcool urlano, sbraitano in qualunque locale che possa sfoggiare bottiglie di rum e musica commerciale.

I locali, qui a Firenze, pare che, per una furba quanto crudele strategia economica, si siano adeguati agli standard e ai desideri di questi strani esseri viventi. Gli Irish Pub servono più cocktails colorati alla frutta che Guinness e sparano a tutto volume una musica mediocre che attira l'Americano come il miele le api. Il risultato è una massa di ragazze generalmente sovrappeso che sulla base di Ai Se Eu Te Pego mette in mostra gambe corpose, troppo poco nascoste dalle gonne dalla dubbia esistenza, attraverso movimenti etilici che di grazia hanno ben poco, contornate dal palestrato di turno che, ignaro della denuncia per stupro del giorno successivo, cerca di portarsele a casa a gruppi di tre.

Strattonato da comitive turistiche impaurite all'idea di perdersi, è impossibile alzare lo sguardo e godersi la facciata di Santa Maria del Fiore per più di due secondi. Non hai il tempo di assaporare l'imponenza di Palazzo Vecchio, o i particolari del campanile di Giotto, quando una persona su due ti chiede di spostarti per fare una foto. Passeggiare tra piazza della Signoria e piazza della Repubblica diviene un lasciarsi trascinare dal flusso interminabile di persone.

Conseguenza più o meno necessaria è che il Fiorentino fa di tutto pur di non andare in centro. Il centro storico di Firenze, per cui milioni di persone da tutto il mondo si mobilitano, è diventato zona off limits.

Ma queste non sono le uniche conseguenze negative del turismo. Non mi riferisco al lievitare imbarazzante del prezzo di un litro di latte – questione che meriterebbe una discussione a sé –; mi riferisco alla chiusura.

Il Fiorentino tipo è, secondo gli scientificamente attendibili luoghi comuni, decisamente restio ad instaurare nuovi rapporti di amicizia. Questo è confermato non solo dalla mia personale esperienza, ma anche dalle testimonianze degli stessi Fiorentini. Spesso gli amici rimangono quelli delle scuole e del calcetto e si hanno serie difficoltà, se non accompagnati da ingenti quantità di alcoolici, a parlare con chi non si conosce di argomenti che vanno al di là del tempo o degli autobus in ritardo. Il punto è che non credo che sia totalmente colpa sua; penso che tra le cause di questa chiusura vi siano anche i migliaia di francesi, americani e cinesi che ogni anno si impossessano, a turno, della città.

Il problema non è il turismo in sé, il problema è che è troppo. Il problema è che soffoca, che non lascia la città a chi la vuole vivere e non visitare. Quello che si può arrivare a provare nei confronti del turista è qualcosa che oscilla tra odio e disprezzo o, nel migliore dei casi, indifferenza.

La questione diventa più frustrante, se si pensa che la colpa non è di nessuno. Nessuno su cui scaricare il proprio scontento, nessuno con cui sfogarsi. Perché la colpa dell'eccessivo turismo certo non è della famiglia Johnson che vuole visitare Firenze; e, certo, la colpa della chiusura fiorentina dovuta all'eccessivo turismo non è del Fiorentino. È un inesorabile, necessario fluire degli eventi.

Io vengo dal Salento. Solo negli ultimi anni le spiagge di San Foca hanno iniziato ad essere prese d'assalto da orde di vacanzieri; solo durante l'ultima estate si è iniziato a parlare degli orrori dei turisti a Gallipoli; solo recentemente bisogna fare a gomitate a Torre Vado per accaparrarsi due metri quadrati di spiaggia. Anche se in piccola scala, anche se limitato ai mesi estivi, anche se siamo ancora all'inizio, quello che sta succedendo alla Terra Rossa mi ricorda orribilmente Firenze. È il preludio del rifiuto dell'altro; l'odio profondo nei confronti del turista è alle porta ma ancora, fortunatamente, non ha invaso il modo di fare tipico salentino.

A Lecce e dintorni il turismo era praticamente inesistente.

In un posto in cui le persone che si incontrano sono pressoché sempre le stesse, il momento in cui ci si imbatte con uno straniero è accompagnato dalla genuina voglia di conoscerlo.

Alla chiusura culturale tipica dei piccoli paesi provinciali, sommersi dai pregiudizi, e al dialetto leccese incomprensibile per la maggior parte della gente si accompagnano ancora una inusuale curiosità nei confronti di chi arriva e un'apprezzabile disponibilità generale.

A Lecce basta che qualcuno abbia una chitarra acustica; da un gruppo iniziale di tre persone che bevono una birra da Paolone, noto locale nel centro storico, si crea in modo totalmente spontaneo una festa a cui partecipano una trentina di persone. C'è chi balla, chi suona e canta, c'è chi rolla e c'è chi sbocca, esausto, dietro un'auto parcheggiata.

Tutte le volte che torno nella Firenze del sud ritrovo lo spirito di una comunità di sconosciuti che vuole stare insieme e divertirsi, senza fare troppe differenze tra chi già conosce e chi no. L'idea che questo modo di fare si possa perdere mi annienta. Mi aggrappo ai ricordi del mio bel Salento come un koala al suo ramo.

Potrei concludere, banalmente, dicendo che il troppo stroppia.

Tiziana Caudullo

THREE FACES

Foto dal Web

RECENT POSTS:
SEARCH BY TAGS:
bottom of page