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Tope a 50 metros - Viaggio in Messico, atto VI

Sono quasi le tre del pomeriggio, il tempo non passa mai. Abbiamo visto cascate, piramidi e cani e ancora la giornata deve cominciare. Comincia con il nostro pranzo, visto che non abbiamo fatto altro che pensare al cibo. Finalmente ci fermiamo in una delle baracche lungo la strada di ritorno, ci sono una decina di tavolini apparecchiati con tovaglie a fiori di carta lucida. Tutte intorno le sedie bianche di plastica sono disposte fitte e regolari. Ci sediamo al primo tavolo più esterno, all’ultimo invece ci sono quattro bambine che guardano la televisione, spounge bob gracchia qualcosa di incomprensibile in spagnolo e tutte si ripiegano sulle ginocchia in una risata colorata di salsa al pomodoro e pollo. Le madri le invitano a finire gli avanzi nei piattini rossi e solo dopo aver sistemato le figlie arrivano sorridenti a prendere le nostre ordinazioni. Non vogliamo ordinare, vogliamo mangiare con loro piuttosto, lo capiscono al volo e ci chiedono solo se vogliamo bere birra. La donna fa un gesto alla collega, forse sua madre, di accendere le due piastre sbruciacchiate accanto alla tv, tira fuori peperoni, insalata, salse, verdure, pollo altro pollo, tantissimo pollo. Ci guarda e sorride, le bambine ridono, spounge bob ride, il serpente blu è ancora accanto a noi.

Come succede sempre ogni volta che pensiamo di aver fin troppo tempo a nostra disposizione ecco che il tempo comincia ad esaurirsi, guardiamo l’orologio ed è passata già più di un’ora, troppo tempo a ridere e bere birra, sembrava volessimo restare. Volevamo restare.

Raccogliamo gli ultimi cenci e salutiamo le adorabili signore, giù di corsa verso la navetta. La strada in discesa sembra ancora più grande, ogni tanto passano dei pick-up con almeno dieci ragazzetti seduti dietro. Siamo ancora in alto perché se provo ad allungare il passo mi si taglia il fiato di netto. Resto indietro e vedo Francesca gesticolare col giovanotto tedesco, diventano sempre più piccoli fino a quando spariscono dietro la curva. Ho le mie macchine intrecciate al collo e le mani in tasca, quasi annoiata. Non penso a nulla perché è già abbastanza esistere li, in quel momento. Testa libera, le gambe pronte e il cuore pieno. Non sento niente intorno a me, nemmeno il respiro del serpente blu. Mi guardo le scarpe rotte pensando che è il momento di toglierle e sentire la terra, mi distraggo giusto un attimo e all’improvviso ecco la testa che torna sù, in allarme, con le orecchie dritte, gli occhi bianchi.

- Bene!!!!! Vieni qua muoviti!!!! -. Francesca mi sta chiamando già da un pezzo a quanto pare perché ha il tono incalzante e frettoloso, non sembra spaventata ma non riesco ancora a vederla dietro la curva e così mi lancio di corsa cercando di immaginare cosa stia accadendo. Ecco che si palesa in tutta la sua piccolezza, ferma accanto al giovanotto in posizioneda giocatore di subbuteo. Lancia il braccio verso la sua destra e in preda a romane convulsioni mi fa cenno di affrettarmi e di guardare in quella direzione. Capisco subito che non c’è alcun morto o ferito, stanno tutti bene. Vedo allora sul lato destro della strada un grande cartello giallo, ancora non riesco a definire le lettere ma a quanto pare è una segnalazione stradale. Mi si accende la lampadina...Eureka! So bene di cosa si tratta, è il santo Graal, l’uovo di colombo, l’ago nel pagliaio, la terra promessa, la terra santa: TOPE A 50 METROS. Nota a piè di pagina: le tope come alcuni di voi sapranno bene sono antri misteriosi e imperscrutabili, in altri casi sono le mogli dei topi e altre volte ancora, come nella mia meravigliosa eccezione spagnola sono semplicemente dei moderatori di velocità, volgarmente definiti dossi. Chiarita la deludente questione semantica dei cartelli gialli, torno a fissare il tesoro di lamiera. Christian mi aveva mostrato una sua vecchia foto dove indicava accanto a sé il cartello giallo, mi aveva detto che non sempre è facile intravedere tali esemplari, bisogna fare attenzione e saperli trovare nei posti giusti. Beh io avevo trovato il mio tesoro nascosto, senza fatica e in fondo trovare tope senza nemmeno cercarle è una vittoria, una conquista. Chiedo a Francesca di farmi una foto, La Foto, che poi dovrò mostrare a tutti, prima ancora delle cascate e delle piramidi, prima dei villaggi e dei coccodrilli, prima del mare e delle foreste piovose. Il giovanotto tedesco è ancora con noi e cerca di comprendere la nostra eccitazione dopo il prezioso rinvenimento, glielo spieghiamo e non è facile ma una volta afferrato il concetto si libera una un gustosa risata tedesca, si regge lo stomaco con le mani e ruota su se stesso come se avesse assunto endovena un anno intero di Vernacoliere, ride moltissimo. Tutti e tre davanti le tope, tutti e tre completamente rimbecilliti, e allora in quell’istante capisco una cosa: non importa dove ti trovi e quanta strada hai fatto, non è importante la compagnia, la lingua, il colore della pelle, la religione o le idee politiche, non importa come sei arrivato, a piedi o in treno, con l’aereo o in autostop, non conta il lavoro che fai, le intenzioni che hai, il tuo obiettivo, le tue speranze, i tuoi mezzi, i soldi, le difficoltà, la fame e la sete, alla fine dei conti, dopo tutto e dopo tanta strada, le tope mettono sempre tutti d’accordo.

Benedetta Bendinelli

THREE FACES

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