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Giorni così - Volontario in Somalia, Atto I

Sono arrivato in Somalia pochi giorni fa, il 23 novembre 2014, come consulente informatico di un'associazione di volontariato. Partenza da Milano Malpensa con scalo a Roma, Addis Abbaba e arrivo ad Hargeisa in Somaliland, pernottamento e il giorno dopo aereo verso Bosaso, in Puntland, dove risiedo al momento.

Il volo locale tra Hargeisa e Bosaso è stato davvero emozionante, un aereo bimotore da 16 posti, con atterraggio su una pista sterrata. Se avete presente le peggiori turbolenze che potete sentire sui normali aerei di linea, in questo caso sono la norma, soprattutto in fase di decollo ed atterraggio. Mai visto un aereo scodare e andare avanti lateralmente come quando si fa virare una barca. Esperienza alla Indiana Jones. Il posto è davvero bello. L'architettura soprattutto mi ha colpito molto: case basse, dei colori della terra che le circonda. E probabilmente fatte con gli stessi materiali della terra che le circonda. Non come gli orrendi edifici costruiti nell'ultimo secolo che popolano le nostre citta. Nell'orrore dell'architettura italiana post anni '20 riscopro la bellezza della loro, bellezza che posso ricordare solo nei borghi isolati del mio entroterra ligure.

Le città sono come quelle che si vedono nei documentari: fatte di case alternate a baracche di lamiera o di stracci, strade sterrate popolate di bambini, capre e spazzatura, donne in fila alle fontane con le taniche d'acqua da riempire e uomini che guidano carretti trainati da asini. Quelle poche volte che mi sposto e vado in auto per la città non riesco a non chiudermi in un religioso silenzio di stupore e contemplazione, di meraviglia per un luogo finora solo immaginato o visto attraverso uno schermo o in una foto.

Purtroppo il posto è sì bello, ma anche abbastanza pericoloso. Momentaneamente vivo in un hotel in pieno centro, e in quanto occidentale membro di una ONG sono sorvegliato da militari armati che quando esco per le strade mi scortano. Ho l'autista e quando salgo in macchina i militari salgono su un'altra e mi seguono. Alle 5 del pomeriggio devo uscire dall'ufficio dove lavoro e fuggire in hotel perché per un bianco è troppo pericoloso andare per il centro città dopo il tramonto del sole.

Qua l'islam regna sovrano, preghiere dagli altoparlanti dei minareti ogni 6 ore, con urla e monologhi che innondano la città dalle prime luce dell'alba fino alla notte piu nera. Ma estremismi a parte la gente è bella. Ho già fatto qualche parola coi locali, molto sorridenti, disponibili e simpatici, quasi tutti con storie pazzesche alle spalle. Nei loro discorsi le parole assumono un significato diverso, una “coscienza” diversa. Oggi per esempio ho parlato con un signore in albergo, e il discorso ha inevitabilmente toccato certi argomenti, e tra i tanti ad un certo punto, sorridendo ma mantenendo una certa serietà, mi ha parlato come un maestro zen parla ad un alievo e mi ha detto che la vita è meravigliosa, di viverla appieno, senza rimpianti nè rimorsi. “Noi non siamo lavatrici che le accendi, eseguono il loro programma, poi finiscono e possono essere riaccese per un altro programma. Noi esseri umani abbiamo un solo programma e quando finisce non ce n'è un altro, quindi mai rimandare qualcosa aspettando che il nostro cuore continui a regalarci secondi, minuti o giorni di vita”. Sono stato molto colpito dal suo modo di parlare, dalla poesia e dalla naturalezza. Quello che la gente di qui deve affrontare ogni giorno è davvero pesante, inevitabilmente questi e molti altri pensieri si sono radicati profondamente in loro, al punto da regalargli una saggezza semplice ma vera.

Il Puntland e' il posto piu pericoloso in cui sia mai stato in vita mia, e me lo sto vivendo intensamente con la consapevolezza che posti così non si vedono tutti i giorni, che persone così non si incontrano tutti i giorni, ma soprattutto che giorni così non si dimenticano.

Marco Bellantonio THREE FACES

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