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Una storia sbagliata - Viaggio in Somalia, Atto II

Notte del 28 novembre 2014, Bosaso.

E' da poco passata la mezzanotte e mi ritrovo sdraiato sul letto nella camera del mio hotel a fissare il soffitto riflettendo sul lavoro che mi aspetta il giorno dopo. Stanco, sereno, a due passi dal sonno. Mi lascio trasportare dai pensieri quando nel silenzio della notte qualcosa squarcia la tranquillità: spari di kalashnicov non molto lontano dal mio hotel. Mi alzo di soprassalto, occhi spalancati, trattengo il respiro per sentire qualcosa di piu. Con un misto di paura ed eccitazione spalanco la porta della mia camera, salgo le scale velocemente per raggiungere l'attico da cui vedere meglio la situazione.

Qualcuno corre per strada, alcune guardie armate guardano di qua e di la con le torce, altre rovistano affannosamente fra le macerie, tutte illuminando a tratti i palazzi del quartiere in uno spettacolare gioco di luci. Sul momento l'emozione supera la paura che non ha il tempo di impossessarsi di me, l'eccitazione è alta e ritorno in camera pensando a quello che è appena successo, immaginandomi gli scenari piu svariati.

Mi ritrovo ancora sdraiato sul letto, un po' meno stanco, un po' meno sereno, a 4 passi dal sonno, quando dopo neanche 5 minuti gli stessi spari di prima squarciano nuovamente la tranquillita' della notte, ma 'sta volta a poche decine di metri del mio hotel. L'eccitazione e l'emozione spariscono immediatamente e al loro posto subentrano terrore e spavento. Mi viene in mente quel verso della canzone Khrorakahne di De Andre “il cuore rallenta e la testa cammina”. Ho sentito il mio cuore rallentare battendo con molta piu potenza, quasi a voler uscire dal petto. Mani fredde, vertigini, respiro quasi assente, la testa ha iniziato a riempirsi di domande senza risposta, troppe per poterle gestire in quella situazione. I minuti si son dilatati e hanno iniziato a scorrere come ore. Una delle notti piu spaventose della mia vita, una notte non molto diversa dalle altre che seguiranno.

Perché qui è così, è normale e ti ci abitui, qua la vita stessa ha un valore diverso. Te ne accorgi da serate come questa, te ne accorgi dai discorsi delle persone, dal loro comportamento, dal loro atteggiamento. Le armi stesse vengono trattate con superficialità, con abitudine, come si tiene in mano un telefonino. I kalashnicov penzolano dalle spalle dei militari mentre questi camminano o si rincorrono per gioco, quando stanchi si siedono a fare pausa o semplicemente due chiacchiere, appoggiano il fucile maldestramente e senza cura sulle proprie gambe mentre la canna punta il vicino senza la minima preoccupazione. Ormai ci sono abituati.

Anche fra i civili le armi sono ormai entrate nella vita comune. A Mogadisho tutti hanno un'arma, tutti se la devono portare sempre in giro e chiaramente tutti devono sapere come si usa. A Bosaso, se ci si limita a camminare in centro di giorno, questo non e' necessario. “Avere un arma per noi è come avere una auto in garage, sai che è li e che è pronta per essere usata in ogni momento, sai come accenderla e come guidarla, non lo dimentichi mai.”. E se questi sono i discorsi di persone normali incontrate in albergo, focalizzati sull'uso dell'arma per la propria sicurezza, ben altri saranno sicuramente i discorsi dei terroristi Al-Shabaab che della Somalia stanno facendo il loro territorio.

Per loro la vita è legata a doppio nodo con la religione islamica, chi non crede e non può aiutare l'espansione dell'islam non è degno di vivere, e deve essere eliminato. E' la Jihad. O per essere precisi un'interpretazione (offensiva) della Jihad. Così agiscono: entrano in centri commerciali, in scuole o pulman pieni di gente, separano i credenti dagli infedeli facendo leggere versi del Corano, o recitare parole di Maometto a memoria e, per chi non si dimostra capace, un colpo in testa e fine dei giochi. Questa e' la loro missione, ammazzare senza pieta' chiunque non sia musulmano, chiunque sia d'intralcio o semplicemente di nessuna utilità all'espansione dell'islam. E allora che valore ha qui la vita? Che valore ha la religione? Sono decenni che va avanti eppure la situazione continua a peggiorare, al punto da diventare “una storia diversa per gente normale, una storia comune per gente speciale”.

All'inizio pensavo fosse semplicemente un essere indietro col tempo, con la normale evoluzione delle coscienze, dopotutto anche i cristiani hanno bruciato al rogo e condannato per secoli chi non la pensava come loro. Ma ora che osservo cosa significhi vivere qui, penso sia principalmente una questione di ignoranza, e di scarsa evoluzione culturale. E' questo l'ambiente ideale per il proliferare dei fanatismi. In Somalia non ci sono svaghi, non ci sono parchi gioco, piscine, giardini, non ci sono teatri, cinema, locali. Non c'e' niente. E allora diventa semplice, quando un ragazzo esce da scuola e non gli resta altro da fare che infilarsi in una moschea (luogo perfetto per fare reclutamento) a recitare il Corano tutto il giorno.

Anche la povertà aiuta parecchio, diventa facile, quando non hai tante possibilità economiche per far studiare i figli, che arrivi a casa tua un militante jihadista che ti dice "dammi tuo figlio, mi prendo cura io di lui, lo istruisco e gli insegno il Corano". E così si condiziona e si rovina la vita di giovani ragazzi, trasformati in nuove forze per la guerra, in soldati, in armi.

Perché qui è così, è normale e ti ci abitui. Qui la vita stessa ha un valore diverso.

Marco Bellantonio

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